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Lo strano caso di San Ghetto martire (tra cronaca e finzione letteraria)

di Salvatore Tofano

Non mi piace raccontare fatti di cui non si hanno notizie certe e di cui non si conoscono le fonti: avrei preferito tenere per me questa storia. Ma come si fa?!? E’ una storia così pazzesca che sembra nata dalla fantasia di Edgar Allan Poe o di Ambroce Bierce e, di contro, così verosimile per luoghi, persone, dettagli, che non mi sento di respingerla tout court. Quel 26 Febbraio del 2006 c’ero anch’io al Carnevale, lì a Scampia. Come l’anno precedente e quello prima, come tutti gli anni. Il carnevale del Gridas l’avevo visto nascere e Felice, il suo creatore, mi aveva sempre incuriosito, affascinato. Non ne condividevo a pieno le idee, l’utopia non era e non è merce per me. Di quell’uomo, però, ne respiravo l’autenticità, le convinzioni forti e radicate, la militante coerenza tra il dire e il fare, tra pensiero e azione. Ora Felice non c’è più, se ne è andato. Il carnevale però c’è ancora. Gli uomini muoiono, disse il giudice Falcone, ma le loro idee restano, sopravvivono alla morte dell’autore. Una fiumana di persone da via Monte Rosa si riversava in piazza della Libertà e già imboccava via del Gran Sasso. Sfilavano le maschere in cartapesta, cartone da imballaggio e gomma piuma, costruite utilizzando prevalentemente materiali di risulta. Alludevano agli spazi negati, ai luoghi di aggregazione che mancano nel quartiere, alle piazze sognate, ai soggetti istituzionali che fingono di ascoltare e poi si perdono nei meandri del palazzo. C’era la “Macchina dell’Acqua” che vedeva contrapposte le opzioni pubblico/privato, la “Mongolfiera”, che tentava di liberarsi delle varie zavorre, la fantomatica e inaccessibile “Piazza Telematica”, fiore all’occhiello delle Istituzioni, il “ponte di Messina”, che supportava un bel po’ di camion carichi di denaro mentre la Sicilia se ne cadeva a pezzi, la “Banca Etica”, che invitava a un commercio equo e solidale, e lui “San Ghetto Martire”, protettore delle periferie, beatificato l’anno precedente in occasione del 1° Maggio a Scampia. con i suoi ex voto, per grazia ricevuta e per grazia da ricevere. C’era la maschera di Bush col suo cappellone da cow boy e le immancabili colt, la TAV con le sagome di cartone di studenti, operai, casalinghe, anziani, le cui necessità di mobilità restano altre, e c’erano le banche che finanziano le guerre, le televisioni che intontiscono, i rifiuti tossici. C’erano i cori, parodie di note melodie adattate sul tema del carnevale: “Tu vulive a piazza”, invece che “tu vulive a pizza” , “Se vonno piglià ‘o sole” invece di “’Ccà nc’è rimasto ‘o mare” e così via. Non poteva mancare l’onnipresente Berlusconi, che sollecitato da Bossi e Tremonti decide che “si ‘nce vonno ati denare, ‘nce pigliammo d’’o Meridione”. I detrattori di questo carnevale, spontaneo e marcatamente proletario, non nel senso di plebe quanto di popolo, erano e restano una sparuta minoranza, che sin dalle origini ne hanno sempre stigmatizzato il carattere politico. Qualcuno, specie in passato, alludendo alla partecipazione di alunni delle scuole elementari e medie, aveva parlato di “manipolazione”. La verità è che Felice parlava di “libertà” e libertà, come cantava Gaber, è partecipazione. Se ci fosse stata “manipolazione”, la manifestazione non avrebbe avuto decenni di vita, divenendo una delle poche tradizioni, se non l’unica, di un quartiere senza storia. Pare che Tonino Esposito quella domenica fosse andato anche lui al carnevale. Lo chiamavano ’o filosofo, non perché insegnasse e scrivesse libri di filosofia, ma perché amava dire la sua su tutto, pervenendo a volte a ipotesi di soluzione accettabilmente originali. In ottima salute, niente lasciava presagire che, giunto all’altezza della parrocchia della Resurrezione, sarebbe svenuto.
Subito, come accade in questi casi, si era formato un pannello di persone. Qualcuno tentò di rianimarlo. I più si accalcavano, quasi a soffocarlo: si chiedevano che e come fosse successo. Il professore Cammarera spiegò che l’Esposito era in ottima forma e che, quando il fatto era successo, questi stava camminando accanto a lui e gli stava dicendo che proprio non gli andava giù la “beatificazione” di San Ghetto Martire.
“Un santo, eretto a protettore delle periferie – avrebbe argomentato - non farà mai niente, perché le periferie smettano un giorno di essere tali”
“Si troverebbe di fatto senza ragion d’essere” la filosofica motivazione.
“Nun se parla accussì ‘e nu santo – mormorò rammaricato Grappetiello, già sbronzo nonostante l’ora mattutina – ’o filosofo ‘stavota s’è pigliato troppa cunfidenza e San Ghetto Martire s’è offeso”.
“Nun è stato nu svenimento! E’ stato San Ghetto Martire! - giurò sui figli Mariettiello, compagno di sbronza di Grappetiello - l’aggio visto cu chist’uocchie. S. Ghetto s’è ‘ngrifato comm’a na iatta, ll’uocchie se so’ fatte russe russe e nc’è stato comm’’a nu lampo. Dint’’a nu mumento, ’o filosofo s’è scunucchiato e s’è afflusciato ‘nterra”.
“Per piacere, non dite fesserie – esclamò, infastidito, il professore Cammarera – San Ghetto non è un santo vero, è solo una maschera!”
“Nun sarrà nu santo overo, ma sempe santo è… e ogni devuzione merita rispetto!”
Nel frattempo l’Esposito diede segni di ripresa. Guardava le persone che gli chiedevano come stesse, ma non sembrava essere in grado di percepire cosa gli stessero dicendo, né lo stesso suono delle parole. Giunta l’ambulanza, se lo portò via. Dell’episodio non vi fu traccia né sulla carta stampata né in TV. A dire il vero, dello stesso carnevale non c’era traccia sui grandi mezzi di informazione. Del resto, stampa e TV avevano creato il mostro, la Scampia del degrado, dove c’è solo spaccio e droga, e non avevano alcun interesse a mostrarne gli aspetti positivi, a normalizzarne l’immagine. Meglio il silenzio. Chi non va in TV non esiste. Il carnevale non va in TV. Il carnevale non esiste. Questo il sillogismo della disinformazione, che stigmatizza Scampia. Silenzio assoluto sulle cose positive, prima pagina agli accadimenti che ne consolidano la negatività. Qualche tempo dopo l’Esposito fu dimesso dall’ospedale, ma privo di parola. Pur non essendogli stato diagnosticato alcun danno alle corde vocali, ‘o filosofo non riusciva ad esprimere alcun suono. C’era come un blocco.
Secondo qualcuno era la punizione di San Ghetto per aver parlato troppo. La moglie, disperata, aveva raccontato a una vicina che la notte l’Esposito si svegliava in preda a incubi. Si era raccomandata di non dirlo a nessuno, ma un attimo dopo la cosa era sulla bocca di tutti. ‘O filosofo fu visto aggirarsi in via Monte Rosa, sempre più smagrito e con gli occhi segnati, e stare fermo per ore davanti alla sede del Gridas. Sfuggiva gli altri, anche gli amici. L’unico col quale ancora si appartasse era il professore Cammarera. Gli scriveva su dei fogliettini i suoi timori, le paure, i pensieri più intimi. Pare si fosse convinto anche lui che San Ghetto avesse voluto vendicarsi. Aveva raccontato di uno strano “munaciello” che lo perseguitava nel buio della notte, apparendogli non appena chiudeva gli occhi. Aveva anche cercato di raffigurarlo. Il professore gli consigliò un buon psicologo, ma lui disse che doveva assolutamente parlare con Mirella, la moglie di Felice, e che Mirella doveva intercedere presso San Ghetto, che San Ghetto doveva perdonarlo, fargli la grazia, ridargli la parola.
Inutilmente il professore Cammarera gli ripetette che San Ghetto era solo una maschera, una cosa inanimata, incapace di azione e volontà: ‘o filosofo aveva smesso di filosofare, non ne aveva più voglia.
“Signora Mirella, voi mi dovete aiutare: io non dormo più, non mangio più, non vivo più!” era scritto sul foglio, che, tremando, l’Esposito porse a Mirella.
“Che posso fare?” rispose la donna.
Preso un altro foglietto dal blocnotes, che aveva con sé, l’uomo vi scrisse: “Dovete parlare con San Ghetto, dirgli che sono pentito, che mi deve perdonare!”
“Ma San Ghetto non esiste!…”
“Esiste!” scrisse su un terzo foglietto l’Esposito, accompagnando col dondolio del capo e la mimica del volto quanto aveva scritto.
“Vi dico che è solo una maschera… se non mi credete, venite a toccare con mano” disse Mirella, invitandolo a seguirla.
Riluttante, l’Esposito la seguì ed, entrato nel laboratorio, vide la maschera di San Ghetto Martire, adagiata sul pavimento, confusa tra le altre. La guardò, sussultò e, prostratosi, improvvisamente parlò.
“San Ghetto Martire, famme ‘a grazia!” fu l’espressione, che gli uscì di getto.
Grappetiello, quando lo seppe, gridò al miracolo. E non fu il solo.
“Menu male ca nun era nu sant’overo!” sospirò invece Mariettiello, riferendosi al professore Cammarera. I più scettici, che poi erano la maggioranza, parlarono di pure coincidenze. Intervistata da Fuga di Notizie, un periodico locale, sulla eventualità di un miracolo, Mirella rispose: “Siamo seri, parliamo d’altro!”

Lo strano caso di San Ghetto martire <em>(tra cronaca e finzione letteraria)</em>