Il gigante malvagio e i bambini coscienti
12 - 15 dicembre 1990.
Realizzazione di un mural su tela nel cortile del Maschio Angioino (Napoli) per la settimana di mobilitazione dell’Unicef Campania sul riconoscimento della dichiarazione dei diritti dei bambini. “IL GIGANTE MALVAGIO E I BAMBINI COSCIENTI”.
Tela poi asportata.
Testo illustrativo
Il Gigante malvagio e la Città dei ragazzi
L'intervento del Gridas alla manifestazione dell'Unicef
Castelnuovo 12-19 dicembre 1990
Invitati a collaborare con la dipintura di pannelli, non potendo realizzare un dipinto su muro al Maschio Angioino, in occasione della manifestazione dell'Unicef campana per i dieci anni di presenza in Campania e per lanciare un'iniziativa di sensibilizzazione per il riconoscimento da parte dell'Italia della convenzione Onu sui diritti dei minori, ci siamo posti il problema di come e che cosa rappresentare.
Non ha molto senso, a nostro parere, occuparsi e cercare di risolvere i problemi dell'infanzia se non si lavora contemporaneamente a rimuovere le cause del disagio dell'infanzia, e le cause sono nell'ingiustizia diffusa nella società, nel malgoverno: un discorso, ovviamente, politico.
Si può parlare di politica ai bambini? Certo che si può, se si trova la forma adatta. Del resto tutto è politica, e, come diceva Don Milani, ciò che non è politica non riempie la vita dell'uomo, o, meglio, contro il disagio di tutti, sortirne da soli è egoismo, sortirne insieme è la politica: la politica come impegno sociale.
Allora ci si è rivolti al mondo della fiaba.
Per ogni bambino un adulto è un gigante, che può sollevarti afferrandoti per un braccio, che ti può ordinare ciò che vuole confidando sulla deterrenza del suo potere testimoniato dalle sue dimensioni: è per questo che in parecchie favole compaiono giganti, alcuni buoni, altri, i più cattivi, ma di cui il piccolo, il nano, lo scemo, lo svantaggiato riesce sempre, nella fiaba, ad avere ragione.
Giganti ci sono anche nella storia dell'umanità, il colosso di Rodi, Golia, Gargantua, il gigante egoista della favola di Oscar Wilde. Ci sono pure gigantismi metaforici, del male così diffuso da sembrare invincibile: qui a Napoli la camorra. Abbiamo rappresentato allora la camorra come un gigante malvagio, con i simboli del suo potere, il denaro, accumulato illecitamente, il cappello che è una siringa, allusione al traffico di droga, con un riferimento immaginario alla storia di Gulliver, di Jonatan Swift, che d'altra parte ci sembra molto calzante, trattandosi di un'opera satirica sui rapporti tra gli abitanti di Albione e gli abitanti degli altri paesi della terra.
Il gigante camorristico è un gigante cattivo e va combattuto e i ragazzi lo combattono tirandogli le pietre. Il tirare le pietre fa pensare ad altri tiratori di pietre, l'Intifada, la rivolta delle pietre, in Palestina, di cui sono protagonisti appunto i bambini. Per evidenziare questa allusione uno dei ragazzi ha il capo avvolto in una kefiah. Alcuni dei bambini sono di pelle colorata, allusione alla presenza fra noi degli extracomunitari, da cui ci può venire la salvezza, come da ogni sguardo sulla nostra società da parte di chi viene da fuori, e può guardare in maniera più precisa e senza paraocchi la nostra situazione e additare le soluzioni che a noi non appaiono. Ma il discorso non si ferma qui e prosegue in un senso positivo: il tirare le pietre è un giocare alla guerra, un'assurda invenzione dell'umanità tollerabile solo come giuoco, così c'è una bambina che brandisce una spada (un gladio?) di legno cavalcando un cavallo a dondolo.
Non a caso è una bambina: un giuoco tipicamente maschile, quello di ammazzare il prossimo, è allusivamente giocato da una bambina per indicare che anche il maschilismo è un mostro da abbattere se si vuole rendere la società più giusta.
La società a misura di bambino è una società in cui sia possibile sognare: ecco allora il bambino con le ali di farfalla, ecco i bambini che volano su un aereo di carta: che è il far volare gli aeroplani se non un desiderio di volare? E fra i volatili un quetzal, uccello del Centro America, di cui la leggenda racconta che perse la voce quando fu catturato e massacrato il capo del suo popolo: da allora è restato muto. Tornerà a cantare quando il suo popolo sarà liberato. Dice ancora la leggenda che il quetzal vive solo libero, e prigioniero muore. E nel Centro America sono nati i murales e i regimi dittatoriali li cancellano, come sta accadendo in Nicaragua in questi giorni: la presenza del quetzal nel nostro dipinto vuol dire tutte queste cose.
Sotto ci sono bambini raccolti intorno a un fuoco: nel fuoco bruciano i simboli del potere: le poltrone, le armi, e, soprattutto, lo strumento e la motivazione di ogni potere malvagio il denaro!
I bambini di una società migliore si riscaldano al fuoco che brucia i simboli del potere malvagio per stabilire un mondo dove sia bello vivere e dalla distruzione dell'oppressione nasca una società la cui regola sia l'amore. Il mondo salvato dai ragazzini.
Il dipinto, in mancanza di pannelli montati dal comune è stato realizzato su una tela lunga venti metri e alta due metri e mezzo, sospesa a un filo di ferro teso fra le colonne del porticato nel cortile del Maschio Angioino: è significativa anche la collocazione, che in questo luogo dove si riuniscono i nostri amministratori li accompagni il monito e il messaggio lanciato dai nostri ragazzi: che si ricordino dove andare.
Siamo grati all'Unicef per averci dato questa possibilità di comunicazione.