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I giochi dei bambini

&18 - 24 settembre 2000.
Murales a Lauro (Avellino).



Testo illustrativo



DUE MURALES DEL GRIDAS A LAURO (AV) 19-24 SETTEMBRE 2000



Si tratta di murales e non di “pittura naif”,  ed è per questo che ho accettato di venire a Lauro: per far sperimentare agli abitanti, ma soprattutto ai ragazzi che cosa sono i murales, nati dalla presa di coscienza dei pittori messicani (di qui il nome spagnolo) nell’ambito della rivoluzione del 1910-20, dell'autonomia culturale della civiltà del Sudamerica che non doveva più essere colonizzata culturalmente dall’Europain base al mito della superiorità della cultura europea e cattolica.

Sono pertanto pitture legate alla realtà sociale del territorio, con un messaggio di grande valore civile da comunicare, il che non vuol dire, per seguire il croce che “l’arte diventi didascalica”, ma invece che la grandezza del messaggio sociale stabilisce un tramite valido per una comunicazione efficace fra gli “artisti” e il popolo cui si riferiscono, e da cui provengono: una attualizzazione della concezione gramsciana dell’“intellettuale organico” e della frase di Marc Chagall: arte proletaria non è l’arte dei proletari, né l’arte per i proletari: è l’opera del pittore che ha coscienza che il dono della creazione ch’egli ha ricevuto appartiene a tutti!

Il muro che si doveva dipingere era quello di un palazzo a via Roma, ‘o vico Fellino, con una rimembranza-ricostruzione delle botteghe artigiane e dei personaggi che ci avevano lavorato e vissuto: una civiltà e una cultura a rischio di estinzione. La cosa mi aveva entusiasmato…al momento di mettere mano alla pittura il proprietario dell’edificio ha cambiato idea e al muro di via Roma si è sostituito il muro del vicoletto che da piazza Pandola porta alla piazza del vecchio mercato e anche il tema è cambiato: visto che è un posto adatto al gioco dei ragazzi, si è pensato di celebrare sul muro i giochi antichi e nuovi dei ragazzi, ma era necessario coinvolgere i ragazzi nella pittura e il risultato, viste le difficoltà di coinvolgimento delle scuole, si è ottenuto affiggendo un avviso alla porta del giornalaio.

Non era un muro eccezionale: essendo il muro di contenimento di un terreno coltivato, presentava varie macchie di umido che non tarderanno a ricomparire, non essendoci un isolamento dal terreno, ma noi non lavoriamo per l’eternità: l’efficacia del nostro intervento è nel suo farsi: un evento memorabile!

Si è spalmato comunque sul muro un fissativo acrilico e si è messo mano alla pittura. Sono stati coinvolti una dozzina di ragazzi, entusiasmati da questa possibilità di pittura murale, anche se poi è degenerata nella dipintura dei paletti di accesso al vicolo e perfino alla dipintura di biciclette e copertoni  e mattoni del marciapiede che poi lasciavano una traccia colorata per terra.

Si sono rappresentati, sullo sfondo di una visione di Lauro dalla strada provinciale, i carruocioli, antenati degli attuali skateboard, ma allora erano fabbricati dai ragazzi stessi, recuperando cuscinetti a sfera dai meccanici e tavole vecchie e chiodi e inventandosi martelli con pietre, e poi le continue riparazioni, data la precarietà della fabbricazione.

Seguono altri giochi popolari e di strada, ‘a mazza e ‘o pivezo e ‘o schiacco, una sorta di cerbottana a pressione che non conoscevo. Un aquilone sorvola la scena, ma anche bambini con le ali: è il gioco che dà piacere all’esistenza, e insegna, piacevolmente, a rapportarsi al mondo: il confronto con gli altri, la socialità, il rispetto delle regole, la trasformazione fantastica del mondo oggettivo, per cui gli spazi risultano dilatati a dimensione onirica, come si può verificare rivisitando gli stessi spazi in età adulta. Seguono un turbinoso girotondo, il gioco dello schiaffo “ciaccio”, come lo chiama Viviani, la mulo o “uno mpont‘a luna”, e un grande sole che dà la mano (un raggio) ad un bambino, l’ultimo della fila del girotondo. C’è anche “la settimana”, gioco tipicamente femminile, ma sempre di strada. I piedi di alcuni bambini sono scalzi, non per esprimere miseria, ma per sottolineare la libertà che nel gioco si realizza dalla grigia quotidianità: è il mondo dell’infanzia, un approccio diverso al nostro vecchio mondo che non è fatto solo di interessi, di speculazioni, ma anche di sogni…

C’è ‘o strummolo, la trottola messa in moto da uno spago arrotolato e poi il gioco del cerchio che si faceva con i cerchi di ferro che tenevano insieme le doghe delle botti: giochi fatti di niente, ma pieni di significato per i piccoli.

Dietro i bambini, creature fantastiche farfalle (il desiderio di volare?) e un drago, a richiesta, personaggio imprescindibile delle favole. Da noi è “cattivo”, impersona il male, il potere malvagio, in Oriente è invece benefico, rappresenta il signore della pioggia. Poi c’è la luna che dà la mano (un raggio) a un bambino che dorme in pigiama, e, come immagine notturna una nonna che racconta favole a bambini stupiti e rapiti dal racconto. Concludono il discorso dei fiori giganti : i fiori giganti non possono essere calpestati e trasformano gli umani, i passanti, in gnomi.

Al centro dell’ultimo fiore ci sono le “firme” dei ragazzi, le impronte delle mani spalmate di pittura.

Vista la disponibilità del maestro della scuola di musica di via Roma, Michele, si è dipinta la facciata della sua scuola di musica, rappresentando gli strumenti della musica popolare, anche questi in gran parte sconosciuti ai ragazzi: la tammorra, ‘o scetavaiasse, ‘o putipù, ‘o triccabballacche, suonati da cafoni eccitati e una ragazza che balla. Il tramite fra la musica “popolare” e la musica “colta” è rappresentato da una chitarra. Sul soffitto si sono dipinti il sole, la luna e i pianeti, ad illustrazione della frase di Democrito che forse i corpi celesti nel loro peregrinare producono una musica bellissima che noi non abbiamo mai udito per l’assenza di contrasto col silenzio: è un accenno a tutte le bellezze che abbiamo sotto gli occhi e ci sono divenute invisibili per troppa assuefazione.

Sulla parete di fronte un’anziana signora ci ha chiesto di disegnare il cavallino della Ferrari, e ci siamo rifiutati poi ci ha mostrato una vecchia giardinetta, di cinquant’anni fa e allora abbiamo capito che anche nella sua fantasia la giardinetta era una Ferrari e l’abbiamo accontentata. Anche qui hanno collaborato i ragazzi, sperimentando quello che le scuole potrebbero fare e non fanno: restituire il coraggio e la gioia di vivere attraverso l’esercizio dell’arte. Alcuni ragazzi ci hanno raccontato che durante una delle frequenti mancanze di insegnanti avevano ridisegnato le pitture murali in classe, col ragazzo che faceva la guardia che non arrivasse qualche “professore”!

Le vecchiette sono restate molto contente e tornavano a vedere i progressi dell’opera: un’opera d’arte regalata al paese, dei muri parlanti che raccontano la loro storia, la storia di tutti.

Felice Pignataro, 
Settembre 2000.



Testo illustrativo



A PROPOSITO DEL QUADRO DI FELICE PIGNATARO REGALATO AL MUSEO DI LAURO (AV)

Il quadro fa parte del ciclo che va avanti da un paio di anni, intitolato “REPERTI DEL XX SECOLO”: è composto di oggetti rinvenuti a Lauro, durante il mio soggiorno, soprattutto lungo la strada dalla “Certosa di S. Giacomo” a Lauro, che ho percorso ogni giorno.


Il mattone in basso a sinistra proviene dalla Collegiata.


La pigna e il naso della faccia dai pini lungo il viale di accesso alla Certosa. Le foglie sono quelle dei platani davanti alla collegiata, una foglia di nocciolo, una della vite americana che si abbarbica sulla scala dirupata al limite della piazza disegnata dall’arch. Vanezia.



Le foglie di canna provengono da una casa colonica e la fronda di eucalipto dal recinto del vecchio frantoio-fabbrica di olio di sansa. Anche le attrezzature elettriche provengono dal vecchio frantoio.





Le forchettine sono reminiscenza della festa di compleanno della nipote dell’assessore Casalino, la ruota al centro della ruota di forchettine è stata ritrovata per strada. La correggia che circonda le forchettine pure è stata ritrovata nel vecchio frantoio. La stoppa e la lana d’acciaio sono state acquistate nel negozio di ferramenta  di Caterina e Silvio, in piazza Pandola. Gli occhi sono fatti con le linguette di lattine di birra sparse sul pavimento della piazza e con delle perline di una qualche collana, ritrovate per strada. I frammenti di specchi e di catarifrangenti pure provengono dalle strade di Lauro. Il frammento di ceramica, testa di uccello, è stato trovato nella piazza del vecchio mercato. Il frammento di metro pieghevole da carpentiere e la misteriosa bomboletta argentata, sempre lungo la strada. Una pallina è fatta di semi-frutti dei platani di piazza Pandola, il cappuccio di una ghianda dai lecci di piazza Pandola. Le strisce colorate sono avanzi di imballaggi della frutta del verduraio di piazza Pandola.





Il mezzo guscio di noce e il mezzo guscio di nocciola sono un’allusione alle produzioni delle campagne di Lauro.



Si sono aggiunti il biglietto di andata della Sita, da Napoli a Lauro e due bustine di zucchero (vuote), una del bar Castello, il cui proprietario si è detto mio ammiratore, e una della Certosa di S. Giacomo, albergo a quattro stelle che mi ha messo a disagio.



Il tutto non c’entra niente con il valore del “quadro”: costituisce una serie di reperti del ventesimo secolo, di una realtà provinciale particolare, da tramandare ai posteri come testimonianza di vita e di civiltà.



Spero che saprete apprezzarne il valore e custodirlo con cura.



Felice Pignataro.



6 ottobre 2000