Dall'esperienza alla cultura, dalla cultura alla vita
Periferia è dove non arrivano i manifesti dei fatti culturali del centro di Napoli.
Periferia è dove non si sa dove sia collocata una strada perché dallo stradario delle "pagine gialle" della SIP è assente la topografia del rione.
Periferia è dove non ti accompagnano i taxisti perché "è fuori della zona urbana" e ci vuole un supplemento di tariffa.
Periferia è dove non ci sono cinema ne luoghi per riunirsi e discutere, vedersi.
Periferia è un luogo un po' allucinato, un po' perduto, dove enormi spazi e strutture giacciono abbandonati in attesa di sistemazione e intanto marciscono.
In questo ambiente nasce il Gridas.
Un gruppo fatto da scontenti e reduci.
Reduci di attività vive del passato: il centro sanitario popolare, i comitati di occupazione delle case, le attività sociali presso la parrocchia e altrove, l'animazione musicale, la controscuola popolare, la militanza politica nel Partito, improvvisamente trovatisi orbati dell'occasione di impegno per lo scoppio subitaneo di una epidemia chiamata "RIFLUSSO".
Il Gridas si è proposto di capovolgere la logica dell'addottrinamento culturale: anziché continuare a sollecitare chi sta in alto a far arrivare fino a noi i suoi messaggi, chi sa perché fermatisi per la via, lanciare invece iniziative, appelli, stimoli, dalla periferia, produrre cultura: il risveglio dal sonno.
Così si cominciò a dipingere i muri di una pineta-spazio per i ragazzi, insieme con i passanti, i ragazzi, gli abitanti del rione, chiedendo un'offerta a chi passava e si sentiva d'accordo con l'iniziativa, per autofinanziarci.
Era l'estate 1981.
Visto che la cosa era ben accetta, l'iniziativa si è allargata: alle pitture sui muri della pineta dell'Ina casa è succeduto un murale, il primo (e l'unico!) patrocinato dal comune di Napoli, fatto con un gruppo di muralisti cileni, conosciuti da Patrizio. Così anche l'ingresso al rione si è colorato.
L'idea che stava dietro queste iniziative è che se la periferia è abbandonata a se stessa e priva di cure da parte delle istituzioni, gli abitanti stessi è ora che se ne facciano carico, modificando l'aspetto dell'ambiente, dando un volto umano allo squallore.
Ma lo scopo non è solo di "colorare i muri grigi": è di testimoniare nei fatti che le strutture pubbliche sono pubbliche, cioè di tutti, se tutti se ne sentono responsabili e ne curano la sopravvivenza, perché sono affidati alla cura di ciascuno, se no ognuno se ne disinteressa e allora diventano di nessuno.
È la differenza fra il "me ne frego" e il "mi interessa" che è alla base dell'animazione politica come la vediamo noi.
Perché il discorso non lo portiamo avanti solo con i murales.
La nostra esperienza passata ci ha fatto sperimentare che certi tradizionali strumenti di comunicazione erano ormai obsoleti, per la stanchezza dell'uso, ma anche per le mutate condizioni ambientali: nessuno legge più un volantino perché si scoccia, ma riesce perfino difficile distribuirlo casa per casa o porta a porta dove le porte sono protette da inferriate e non si apre agli estranei o l'offerta di un volantino è intesa come richiesta di denaro!
Si tratta allora di inventare strumenti nuovi: invece del volantino il fumetto, la vignetta, l'autoadesivo, invece del manifesto fitto di caratteri microscopici e barbosi, anche se "ideologicamente corretti", un'immagine a dimensione di manifesto che interpelli chi passa dai muri del rione.
Ma qui esce fuori il discorso economico: la difficoltà di non avere soldi che, nel panorama della carta stampata impedisce a chi è povero finanche di parlare mentre chi ha più denaro può parlare meglio e più forte.
Per aggirare l'ostacolo si è ricorsi a tecniche povere; la linoleografia, che permette, con la spesa di ventimila lire di stampare cento copie di un manifesto illustrato ed efficace, con fatica, certo, ma anche con soddisfazione e divertendosi, raggiungendo lo scopo.
A sostituire il torchio a dimensione di manifesto si sono usati rulli di acciaio comprati allo scasso, con un rivestimento di feltro, consigliato dall'esperienza, e la spesa allora è solo quella del linoleum, dell'inchiostro e della carta, e tanta allegra fatica.
Allo stesso modo la pubblicizzazione di un discorso sulla pace o su altri temi politici può accattivare l'attenzione se è svolto in maniera inconsueta, per esempio con una grancassa e i rullanti e i piatti, invece che con una banale automobile con l'altoparlante.
Poi si è visto che alla voce non si poteva rinunciare e abbiamo dovuto comprare l'amplificatore.
Lo strumento più efficace che ha il potere per conquistare il consenso e creare opinione è la televisione.
Ma televisione vuol dire denari, una barca di denari, e noi non li abbiamo, allora si fa ricorso all'ironia e si fabbrica un televisore di compensato, con dentro un rotolo di stoffa dipinta a riquadri, che compaiono nello schermo e si possono commentare con voce e banda, e si arriva allo spettacolo di strada.
Lo spettacolo si di amplia con la creazione di strutture che richiamino l'attenzione, che siano smontabili, per potersi trasportare, ma abbastanza grandi da non scomparire per strada: un aeroplano di compensato, dipinto a colori mimetici, per la manifestazione per la pace, un carro armato su ruote di carrozzini che cammina silenziosamente spinto da un operatore all'interno e suscitando la curiosità dei passanti...
Ci sono occasioni ormai storiche di manifestazioni pubbliche-feste, come il carnevale; allora teniamone conto, recuperiamole per evitare che diventino occasione di evasione e addormentamento delle coscienze e utilizziamole invece per proseguire il discorso politico costante in forma festosa, e nasce il carnevale restituito alla sua carica eversiva, da parte del popolo, giocoso, ma al servizio di un'idea.
È così che stiamo andando avanti, producendo, partendo da stimoli anche estemporanei o casuali, e recuperandone la carica ideale o le potenzialità di sviluppo, forme diverse e incisive di comunicazione, sempre valutate in base alla effettiva capacità di coinvolgimento della gente, alla possibilità di divertirci facendole, alla coerenza del prodotto finito con l'idea che ne era alla base.
È questo che vuol dire nella nostra esperienza fare animazione culturale, senza grandi pretese, ma con la capacità di parlare chiaro, per essere capiti ma anche per convincere, non per indottrinare né per raccogliere voti, ma per far emergere dalla coscienza dell'ascoltatore quello che già c'era ma ancora confuso, quello che già sa ma non sa esprimere, quello che, siccome è pensato da sempre, si riconosce come un discorso proprio.
Una nuova maieutica.
Il passo successivo è quello di tradurre in vita vissuta i convincimenti ideali, il lavorare concretamente a rendere attuale il mondo immaginato, a vivere le proprie idee: attività più squisitamente politica, che va estesa e perseguita nel tempo, fino alla liberazione.