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Assassinato il mosaico della resurrezione a Scampía

Ancora una volta cronaca nera da Scampìa: questa volta però la vittima non è un essere umano ma un’opera d’arte: il mosaico di 90 metri quadrati realizzato nel 1994 da un artista locale (ma conosciuto a livello internazionale) sulla facciata della chiesa della resurrezione è stato distrutto!

Realizzato alla maniera di Antoni Gaudì, con frammenti di mattonelle smaltate multicolori, frammenti di specchi e altri materiali colorati, illustrava sulla parete anonima della chiesa alcuni simboli del cristianesimo: l’alfa e l’omega (Gesù alfa e omega, inizio e fine), i pani e i pesci come simbolo della condivisione e della fratellanza, un pavone, simbolo fin dall’antichità cristiana della resurrezione, una lucerna, con tre fiamme, di cui una fumosa, simbolo della misericordia (“non spezzerò la canna fessa e non spegnerò il lucignolo fumigante”) e il quadrante di un orologio elettronico su cui erano disegnati il sole e la luna, come allusione alla necessità della redenzione del tempo. Il tutto per circa novanta metri quadrati. Poiché sono caduti pezzi di intonaco dalle estremità del muro, FUORI dal mosaico, si è deciso di distruggere il tutto per intonacare di nuovo tutta la parete (è la terza o la quarta volta che lo fanno, si gradirebbe sapere a spese di chi).

Un pittore tedesco, Thomas Giese, di Düsseldorf se ne innamorò e invitò l’autore a realizzare alla stessa maniera un mosaico dalle sue parti. Il mosaico, illustrante le diverse maschere europee, da quella di Pulcinella a quella di Nazreddin Hotscha, alle nostre tante maschere quotidiane, a quelle dei personaggi cosmici, il sole, la luna, in più Till Eulenspiegel (una sorta di giullare, simbolo dell’indipendenza delle Fiandre) e la silhouette (oggi si preferisce dire skyline) di Duisburg, il più importante porto fluviale d’Europa, sede delle acciaierie Tissen, associatesi poi con la Krupp e oggi piuttosto in disarmo. A Duisburg c’è una forte presenza di immigrati turchi, circa il 40% della popolazione e la realizzazione del mosaico era stata promossa dal mio amico insieme con la gestione di un’istituzione per l’integrazione dei turchi, gestito in parte da loro medesimi.

Il mosaico della Resurrezione è stato “pagato”, su mia richiesta, un milione di lire per ventisei giorni di lavoro e facchinaggio sui ponteggi; quello di Duisburg, più piccolo, circa settanta metri quadrati, realizzato con la collaborazione di altri operatori, disoccupati in assistenza sociale, ecc. mi è stato pagato 6000 marchi, circa sei milioni i lire di allora (non c’erano ancora gli euri) denari con i quali ho potuto completare il pagamento delle spese di stampa del libro sui carnevali del GRIDAS, rifiutato dagli editori napoletani e stampato a mie spese, io che sono disoccupato e senza alcun reddito. Il mosaico di Duisburg è stato completato in venti giorni di lavoro, inaugurato alla presenza delle autorità locali con una gran festa. Confrontate allora cosa significa fare cultura a Napoli e farla altrove e che rispetto si ha per le opere d’arte. Quelli che distruggono senza pensarci le opere d’arte degli autori contemporanei poi sono quelli che protestano contro l’ “abbandono delle periferie”. Giudicate voi allora se chi butta nel cesso un’opera d’arte concepita e realizzata con amore ha poi il diritto di inveire contro “l’abbandono delle periferie”!
L’autore, il sottoscritto, si è detto disposto a rifare l’opera, ma gli si è risposto che “ci stanno pensando”!

Felice Pignataro