Lo scarrupamento della baracca di Peppe lo scemo
Nel mese di settembre qualcuno cominciò ad accorgersi che non tutti nel mondo, e nemmeno a Napoli, vivevano nelle baracche: c'era chi aveva una casetta a due piani e perfino chi aveva un grattacielo tutto suo. Cercavano di mettersi d'accordo per fare una, dimostrazione al Comune, ma nessuno ci voleva andare veramente. Discutevano per ore senza concludere niente, perché invece di pensare a che cosa diceva ognuno, se fosse giusto o no, facevano un processo ad ognuno che cominciava a parlare: "E cchill foss megle e' me?" "Ma chist cche bbò?" "E cchill pò addov'e' truov sti ppapocchie?" "Oill'oche è arrivato o Pateterno!", ecc., ecc.
Quando poi qualcuno proponeva di fare una dimostrazione o un corteo, subito cominciavano a appiccicarsi: "E i' avess'a i appress' a cchill?" “Io e cchill stamm appiccicate!".
Così nessuno faceva niente e tutti restavano nelle baracche.
Ma un giorno, Peppe lo scemo, che era stato a tutte le riunioni e non s'era mai appiccicato con nessuno, appena alzato la mattina, cominciò a levare le pietre dalla sua baracca.
Levava prima le pietre che stavano sotto, così cadevano in fretta grandi pezzi di muro. Quando il tetto fu arrivato al livello del pavimento, Peppe prese lo sgabello fatto col pezzo di traversina, se lo mise sotto il braccio e si avviò. Nel frattempo si era fatta una folla attorno alla baracca, per vedere l'ultima scemità di Peppe lo scemo.
Quel giorno, però, i baraccati si sarebbero accorti che Peppino lo scemo era il più intelligente di loro. Quelli che lo accompagnarono si accorsero che era diretto al Comune. Arrivato là, cercò l'ufficio dell'assessore ai lavori pubblici e si sedette davanti alla sua porta. Fin qui tutti lo ritenevano ancora scemo e, dopo un'ora di attesa se n'andarono, non perché avessero qualcosa da fare, ma perché si erano stancati di stare là. Ma il giorno dopo tutti seppero da quelli che sapevano leggere, che Peppe lo scemo era finito sui giornali, di fatti stava ancora seduto davanti al Municipio, però fuori, perché dall'ufficio dell'assessore lo avevano cacciato. In compenso, adesso, legato allo sgabello, c'era un vistoso cartello, dove chi sapeva leggere poteva trovarci scritto: "Qui comincia la protesta di un baraccato, secondo giorno di digiuno".
Passò un altro giorno e Peppe stava sempre seduto davanti al Comune. Ma adesso, vicino allo sgabello e tutto attorno, sull'erba di un'aiuola, c'erano quindici cartelli, uno contro i topi, diceva: "Basta con le zoccole!"; un altro contro gli scarrafoni, diceva: "Abbasso il pericolo nero!"; un altro contro le autorità, diceva: "Basta con le promesse!"; un altro riassumeva la situazione così: "Ci siamo sfastidiati".
Dopo altri due giorni di digiuno, Peppe lo scemo, che già non era molto grasso, si era già ridotto ossa e pelle e aveva dei segni neri intorno agli occhi. Vicino allo sgabello dove stava seduto c'era solo una bottiglia d'acqua, vicino al cartello dove stava scritto: "Terzo giorno di digiuno".
Attorno a Peppe c'era adesso una folla di gente che discutevano vivacemente e dietro c'era un sacco di polizia, che però guardava soltanto. Dopo una settimana, mentre Peppe stava quasi in fin di vita, capitò a Napoli il Presidente del Governo, per inaugurare un ridicolo e costoso monumento.
La polizia cercò in tutti i modi di far cambiare posto a Peppe lo scemo, ma non ci fu maniera: Peppe rimase là, in mezzo ad un mare di cartelli. Quando passò il Presidente del Governo, nessuno potè impedirgli di vedere il posto dove stava Peppe, anche perché da tutta la folla che era raccolta intorno a lui si levò un tremendo pernacchio.
Passarono altri due giorni, Peppe lo scemo era arrivato sulla prima pagina dei giornali, ma stava ormai per morire. Intorno a lui c'era una folla enorme e, in mezzo ad essa, tutti quelli del Campo. Peppe finalmente parlò e non si capì che cosa dicesse.
Questo però non aveva importanza: tutti ormai avevano finalmente capito che dovevano lottare uniti, se volevano ottenere qualche cosa, come si trovavano uniti attorno a Peppe, che loro un tempo avevano creduto scemo.
Avevano capito che Peppe lo scemo era la loro anima, e avrebbe dovuto essere il loro capo, egli che, anche se in modo così curioso, era riuscito a farli riunire tutti davanti al Comune. Perciò non avrebbero voluto farlo morire ed erano pronti a farsi ammazzare per lui.
Stettero un giorno intero a guardarsi senza parlare, ma ormai erano come un sol corpo e fortissimo e non avevano più bisogno di discutere appiccicandosi.
Scuola 128, 14-15 luglio 1969.