La penna bic
Nella cartella di Ciruzzo, una mattina, si trovò, in mezzo ai quaderni e ai libri sbrindellati, fra una pietra colorata e un pezzo di vetro blu, una penna Bic, nuova.
Prima, Ciruzzo aveva scritto con varie penne, tutte però da venti o trenta lire, che dopo avere scritto dieci metri, cioè quattro pagine, cominciavano a sbavare inchiostro da tutte le parti, macchiandogli le mani, le braccia d'estate, il quaderno, i denti e altre cose, nei vari tentativi di farle scrivere qualche altro metro. Quel giorno era il suo onomastico e il padre gli aveva regalato quella penna Bic, rossa e gialla, a scatto, e Ciro si immaginava che avrebbe scritto per almeno un chilometro, senza sbavargli niente. Dopo due settimane, però, la penna non ne volle più sapere di scrivere e, dopo avere subito vari strofinamenti, fu buttata dalla finestra, dal Ciruzzo arrabbiatissimo, e cadde sulla testa di Peppe lo scemo, che se la tenne come una cosa preziosa e se la portò appesa al collo per due mesi. Un giorno, però, che se la era dimenticata sullo sgabello, Rodò cominciò a giocarci, la masticò un poco e la lasciò per terra. Di là fu raccolta da Ferdinando che la portò fra i denti sul tetto della baracca, proprio nel centro del vecchio copertone di bicicletta. Là fu dimenticata e, non avendo niente da fare, si mise tranquillamente a pensare.
Era fatta di sostanze strane, e prima di arrivare fra le mani di Ciruzzo aveva visto le persone più diverse. Era una penna onesta fabbricata interamente a macchina. Non come quella penna fetente, che stava affianco a lei dal tabaccaio, in vendita.
Quella si era fatta montare da povera gente, pagata una miseria, mezza lira ogni penna finita, da quel delinquente che la vendeva e sfruttava i morti di fame.
Era passata per tante mani, mani piene di calli e mani ripulite, che la portavano come campione, negli uffici di commercio.
Aveva scritto un sacco di cose, stupidaggini e cose importanti, ma, di queste, poche. Aveva fatto molti scarabocchi e spiringuacchi e qualche piccolo disegno, incerto ma espressivo.
Adesso non le restava che aspettare, dove si trovava, sopra il tetto, che il tempo passasse, fino a quando c'era quella baracca, cioè fino a quando durava l'ingiustizia.
Scuola 128, 11 giugno 1969.