Introduzione - I parte
A Gaetana "Patacca",
a Giovanni "o' chiattone",
a Totore "Pisciavinnolo",
ad Antonio "Rinoceronte",
a Tonino "Cafone",
ad Anna "Manfresca",
a Mena "Draculina",
a Raffaele "cap' e' chiuove"
e a tutti coloro che sono stati,
anche solo pochi minuti,
nella scuola 128,
magari senza capirci niente
o solo a sfotticchiare un poco,
per propria soddisfazione,
nella speranza che finalmente,
e almeno un poco
capiscano.
La Scuola 128
Siamo tre a portare avanti questa scuola: Il Buon Dio, Mirella e Felice.
La cosa è cominciata quattro anni fa. Fin allora non avevamo conoscenza dei baraccati, degli emarginati della società. Vivevamo tranquilli, allora, eravamo preoccupati dei nostri guai più che di quelli degli altri.
1967
Gli inizi: il "Doposcuola creativo"
Venuti a sapere per caso dell'esistenza dei baraccati, si cominciò ad andare, insieme con altri volontari, a turno, un'ora al giorno, dalle tre alle quattro, in uno stanzone della scuola elementare "Paola Lombroso", in via Calata Ferriera, a far fare dei disegni ai figli dei baraccati del Campo A.R.A.R. di Poggioreale(1) che frequentavano quella scuola.
Era un locale arrangiato, sporco e umido, e ci poteva¬mo stare un'ora al giorno per generosa concessione del direttore didattico, con cui aveva parlato un nostro amico, Antonio Venturini.
Allo scadere dell'ora venivano a cacciarci i bidelli, perché nessuno voleva prendersi 1a responsabilità di quello che poteva succedere ai ragazzi "fuori orario". Usciti i ragazzi, si dovevano ripulire banchi, pennelli e sedie e scopare per terra.
Facemmo pure delle riparazioni ai muri e mettemmo dei fogli di plastica trasparente alle finestre per proteggerci dalle intemperie nonché dalle pietre che piovevano da fuori.
Le "insegnanti" ufficiali del doposcuola ci fecero vedere solo qualche volta, ma senza parlare o interessarsi ad alcunché. Si piazzavano in un angolo a leggere qualche rotocalco e a sollecitare l'uscita appena suonavano le quattro. Stavano là solo per guadagnare "punti" in graduatoria, e nemmeno si capacitavano che noi potessimo andarci senza graduatorie, punteggi e simili. Il direttore non lo conoscemmo.
Questa specie di "doposcuola creativo" durò più o meno dal marzo al giugno del 1967.
Durante questo periodo ci eravamo resi conto, però, che un doposcuola come quello era del tutto inutile, non interessava i ragazzi e non smuoveva di un millimetro il livello dei loro studi. Dati gli scarsi risultati negli studi dei ragazzi, sarebbe stato necessario un lavoro di insegnamento, oltre ai disegni, che da soli non risolvevano niente, a parte il valore pedagogico e liberatorio della creazione artistica. Alcuni disegni erano bellissimi.
Alla fine dell'anno scolastico non si potè più andare nel locale della scuola e ci si fece capire che anche per l'anno seguente era molto poco probabile che lo stanzone fosse ancora disponibile. Non riuscimmo a sapere esattamente il motivo. Pareva che ci dovessero ricavare una sala per le proiezioni settimanali, o la cucina per istaurare la refezione calda, o che fossero in progetto ampliamenti alla casa del custode.
Nel frattempo noi andavamo a trovare i ragazzi nelle baracche e cominciavamo a renderci conto meglio di come vivevano e a conoscere le loro famiglie.
A ottobre si cercò di riprendere contatto con la scuola. Nel locale adesso razzolavano le galline del custode: non si era fatta la sala di proiezione, né la cucina, né si era allargata la casa. Non essendoci la cucina, non si sarebbe fatto nemmeno il doposcuola, per disposizione del Patronato o per incuria del medesimo e del Comune.
Il gruppo che più o meno si interessava del doposcuola a Poggioreale, si era già disperso un po' negli altri gruppi spontanei: eravamo ormai restati in due.
Volevamo lavorare, ma non sapevamo da dove cominciare. Avevamo saputo che c'era parecchio analfabetismo e avremmo voluto fare una scuola per adulti.
Inchiesta sull'istruzione nelle baracche
Dopo qualche contatto con altri che conoscevano il campo A.R.A.R., cominciammo una specie di inchiesta sullo stato dell'istruzione nel Campo. Ne emersero vari problemi.
Si era chiuso da poco l'asilo d'infanzia a ridosso dal cimitero di Poggioreale e non se ne sapeva il perché. Era un grosso guaio per le famiglie, perché le madri non potevano più allontanarsi di casa dovendo badare ai figli piccoli, mentre l'anno prima potevano andare a lavorare.
Gli analfabeti adulti pareva che si fossero volatilizzati, non ne trovammo che pochissimi e non avevano alcuna intenzione di mettersi a studiare, né pareva che avvertissero disagio del loro analfabetismo. La verità era che si vergognavano di riconoscere quella che ritenevano una loro colpa.
C'era poi un buon numero di persone che si preoccupavano dei figli che andavano a scuola e non erano promossi o andavano male.
L'asilo
Cominciammo dal problena dell'asilo. Ci informammo. Alcuni dicevano che l'asilo era stato chiuso perché era pericolante, altri, fra cui il parroco, che era sano e stabile, e non si sapeva perché l'avessero chiuso. Al patronato ci dissero che era una disposizione ministeriale di riduzione del personale, e non vollero dire di più. Al Centro Studi della Curia che avrebbe dovuto occuparsi dei baraccati, ci dissero di non sapere niente e ci trattarono da ingenui, troppo sensibili a miserie "apparenti" o volontarie, e poi ci indirizzarono di nuovo al Patronato. La "stampa" si rifiutò di pubblicare la notizia della chiusura dell'asilo, o meglio ci promise qualcosa, ma poi non ne fece niente.
Non essendo troppo esperti nel lavoro burocratico, abbandonammo il problema dell'asilo nelle mani di una ragazza che aveva lavorato qualche tempo con noi e che riuscì a spuntarla. L'asilo si riaprì l'anno dopo.
Restava il problema degli analfabeti e quello del doposcuola.
Gli analfabeti e la scuola serale
C'era una scuola serale per analfabeti nei locali della scuola elementare, che funzionava dalle sei alle otto di sera. Andammo a vedere se si poteva collaborare con quella. Era affidata ad una maestrina al primo incarico, con un figlio piccolo che aveva bisogno delle cure, per cui, appena si facevano le otto, se ne andava.
L'orario non era il più adatto per gli adulti che lavoravano, perché tornavano dal lavoro dopo le sette, per cui alla scuola serale non potevano andare.
Quelli che alle sei erano liberi, non ci andavano lo stesso e si giustificavano con varie scuse. I pochi che trovammo nella scuola erano a cavallo tra i tredici e i quattordici anni, per cui potevano non andare più alla scuola del mattino e più o meno legalmente ormai potevano lavorare.
Era una scuola triste, con la solita lavagna, il testo per gli analfabeti a cura dell'UNLA, vecchio di almeno cinquant'anni, salvo la faccia: c'erano ancora le letture sul "Natale di Roma", l'apologia dei bersaglieri, ecc., con i soliti disegni penosamente infantili, a mo' d'illustrazione.
Visto che non c'erano troppe alternative, cominciammo a pensare che forse il lavoro più richiesto nella zona era quello del doposcuola.
La Baracca n. 128
Per decidere sul da farsi e pensarci un poco sopra nel frattempo, cominciammo ad installarci nella baracca del Venturini.
Era un baracca di tre metri e venti per sette, originariamente destinata ad una giovane coppia di sposi, che poi aveva trovato una sistemazione. Il Venturini, con l'aiuto di altri amici, aveva comprato la baracca rimasta vuota e ci aveva abitato per quasi un anno, per raccogliere notizie sul campo e sui suoi abitanti e per vedere di aiutarli. Poi la baracca era rimasta disabitata per circa sei mesi, fin quando arrivammo noi.
"Quelli del doposcuola"
Siccome si era fatto un po' di doposcuola là dentro, quando c'era il Venturini, appena vi mettemmo piede, diventammo subito quelli che avrebbero fatto il doposcuola.
Accettammo questa investitura, anche se ci rendevamo conto che sarebbe stato un lavoro parecchio gravoso per noi, perché concepivamo il doposcuola come un fatto continuativo, cioè quotidiano, e i ragazzi erano parecchi.
Scuola 128, aprile-maggio 1970