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1983-1997: una storia lunga quindici anni

C'è forse ancora qualcosa da aggiungere, per rendere più completo un bilancio, ma anche per salvare dall'oblio le occasioni di cui siamo stati testimoni.

Le prime maschere in cartapesta le realizzammo alla "scuola 128" negli anni settanta, per il teatro dei ragazzi, incollando carta e colla su palloncini gonfiati, da sgonfiare poi, una volta asciugata la colla, lasciando rigida la struttura. Ma le maschere avevano sempre una improbabile conformazione ad uovo, così siamo passati alle strutture in filo di ferro zincato, meglio modellabile.

Il primo carnevale nel 1983, dopo due anni di attività del Gridas: l'idea, già accarezzata in precedenza, finalmente si realizzò, con un corteo mascherato per le strade, la realizzazione di un bruco lungo 15 metri, di tela di sacco, con una testa di cartapesta, fatta di due metà (per poter varcare la porta del nostro laboratorio, larga 90 cm.) rinforzata con listelli di legno e montata in precario equilibrio su quattro ruote di carrozzini, tenute insieme da una struttura di piattina di ferro saldata la notte prima, due per ogni lato.
La tela era sostenuta da centine di compensato sostenute alle spalle delle persone che camminavano all'interno, per dare più spessore al corpo del bruco, evitando che si appendesse modellando le spalle delle persone.

Il tema era "la vita contro la morte": una elementare esemplificazione dell'eterna tematica del carnevale, di contrasto e ambiguità fra diverse prospettive di approccio all'esistente. I nostri "temi", da allora, si sono sempre incentrati su contrasti fra elementi positivi e negativi, senza però che fossero troppo vincolanti, in modo che attorno al tema centrale ci fosse spazio per ogni possibile invenzione ed esplosione di fantasia. Il tema è suggerito da uno dei fatti più notevoli successi nell'anno appena trascorso o in preparazione per l'anno successivo. Sono sempre presenti le maschere del sole (la vita, la natura libera, ecc.) e quella della morte, tanto per collegarsi col tema del primo anno, che poi è il contrasto che ci accompagna perennemente nella vita, cui poi se ne sono aggiunte altre, più o meno in consonanza con gli argomenti proposti, o dovuti a improvvise folgorazioni inventive: da quelle di farfalle e animali vari, che alludono alla lotta contro lo scempio della natura, a quelle di bruchi, draghi e mostri vari, simboleggianti il potere malvagio e divoratore.

Maschere di camorristi, collegate con i simboli dei vari strumenti di arricchimento illecito, il contrabbando, la speculazione sui suoli, la droga, lo sfruttamento della prostituzione, la violenza, portate in corteo sui luoghi che spesso sono teatro di assassinii di camorristi. Un anno, proprio quando si era pensato di rappresentare il funerale di Carnevale con un pupazzo enorme di cartapesta su un catafalco, ci è capitato di passare in corteo sul luogo di un assassinio camorristico di due giorni prima.

Al sole poi si è aggiunta la luna, e poi vari personaggi politici, da Fanfani ad Andreotti, a Craxi, da Amato a Berlusconi, da Bossi a Prodi, e il pupazzone alto quattro metri con le braccia lunghe sei metri, che rappresentava il potere in genere, in contrapposizione a un asino che rappresentava il popolo, memori del sottotitolo del giornale "L'Asino", dell'inizio del secolo: "l'asino è come il popolo, utile, paziente e bastonato." Ma anche personaggi "positivi"; Emiliano Zapata, i guerrieri indigeni americani, Rigoberta Menchu: i volti violenti e non violenti di opposizione all'ingiustizia.

L'uso di materiali nuovi per noi e l'acquisizione dell'esperienza altrui che diventava patrimonio comune, hanno fornito altre opportunità di realizzazione di strutture efficaci: uno struzzo di poliuretano espanso, la maschera per l'automobile (necessaria per l'amplificazione, un altro dei nostri crucci perenni), la balena che conteneva una classe intera, l'immagine del simbolo del Gridas, eccetera.
D'altra parte la mancanza di denari ci ha stimolati a cercare di ottenere il più possibile da materiali ritrovati, come i cartoni da imballaggio che, opportunamente tagliati e incollati permettono di fare di tutto.
Le cosiddette istituzioni ci hanno ignorati sistematicamente.
Nonostante la disponibilità di fondi per progetti vari nelle scuole, non ci è stata mai data una lira di contributo o di rimborso spese e anche la pubblicazione di questo libro ci è stata rifiutata dagli editori napoletani perché "non avevano la collana adatta", perché "costa troppo", o perché "non rientra nei progetti editoriali"...

Nonostante la riscoperta del Carnevale in città, non ci si è accorti o non si è voluto dare evidenza al nostro carnevale, perché "troppo politicizzato" e non invece "classico" (cioè neutrale e di pura evasione, come sono i carnevali, più o meno "organizzati" in città: imitazioni del carnevale di Venezia, feste di intrattenimento, spettacoli cui assistere e non invece coinvolgimento dei cittadini e partecipazione a una festa).
Perciò il referente naturale ci è sembrato la scuola, sia perché dal contrasto con l'ambiente ottuso di una scuola era nato il nostro gruppo, sia per emancipare le scuole dalla consuetudine di adeguamento al consumismo carnevalesco, ma soprattutto perché, volendo fondare una tradizione del quartiere, ci pareva necessario rivolgersi ai ragazzi che potrebbero continuare la tradizione negli anni.

Hanno collaborato classi di diverse scuole: il nostro quartiere, Scampìa, poi costituito in Circoscrizione autonoma, allora era diviso fra Secondigliano, Miano e Piscinola.
I primi anni, forse anche perché la parte nuova, le costruzioni della "167" non erano ancora parte integrante del quartiere nella nostra sensibilità, i cortei si svolgevano dall'Ina Casa, dov'è la nostra sede, alla parte vecchia di Secondigliano, e il passare per i vicoli era occasione di una quantità di scenette di coinvolgimento degli abitanti, perché la vita a Napoli si svolge soprattutto per strada.

Poi ci si è rivolti alla "167", che si chiamava ormai Scampìa, cercando di esorcizzare il deserto delle strade e l'impenetrabilità dei palazzoni di tredici piani perché le scuole che collaboravano erano collocate lì, ma a chilometri di distanza, fra zone desertiche, e questo creava problemi per la lunghezza del percorso e per l'inutilità di percorrere zone non abitate: i giullari hanno bisogno del pubblico!

Un altro problema irrisolto era costituito dalla necessità di utilizzare e inserire nella coscienza partecipativa degli abitanti la Villa Comunale, finalmente inaugurata e aperta al pubblico, ma anch'essa impersonale e di difficile utilizzazione civile.
Ci sembrava che fra le nuove costruzioni svettanti verso il cielo e solide come muraglioni, in poche parole, disumane, la realizzazione annuale di un corteo di carnevale, con relativa preparazione, laboratori, ecc. potesse essere un piccolo tentativo di umanizzazione, un percorso dall'impersonale disumanità, dal deserto, a un'occasione di partecipazione umana, che si potesse così costituire una "tradizione" del quartiere, gettando le basi per una possibile identità.

Questo, in gran parte non è stato possibile realizzare con tutte le scuole, sia per la itinerante presenza di insegnanti e presidi, in ricorrente attesa di trasferimento, sia per la imperscrutabile logica che presiede alla "programmazione" delle attività dell'anno, per cui, invece di costruire con continuità, si va alla ricerca perenne del "nuovo", per cui: "il carnevale lo abbiamo già fatto l'anno scorso, quest' anno no" !
Per cui un anno c'era la scuola media e non la elementare, l'anno dopo il contrario...

Ma data la nostra ostinazione, una sorta di tradizione si è riusciti a costituirla, almeno nell'aspettativa dei ragazzi, al di fuori delle scuole, per cui poi si è finito col coinvolgere anche le scuole, grazie ad insegnanti come Rosario Cuomo, Antonio Gonsales, Mario Zuppolini e tanti altri, che hanno organizzato laboratori funzionanti nelle loro scuole, coinvolgendo altri insegnanti, (pochi) e superando le diffidenze e gli ostracismi di altri colleghi e presidi.

Così le immagini dipinte sui muri delle scuole, nei nostri murales, hanno acquistato corpo e sono diventate personaggi in viaggio per le strade. Poi sono tornate ad immobilizzarsi e sbiadire sui muri quando alcuni insegnanti sono stati trasferiti e si è dovuto ricominciare ogni volta da capo.

Anche i presidi sono itineranti. In tanti anni, solo uno, Paolo Cappello, ha risposto ai nostri inviti e si è affacciato al Centro Sociale per un incontro. Poi anche lui è stato trasferito.
Una preside, per un laboratorio (gratuito) da realizzare nella sua scuola, di cui l'avevamo informata per correttezza, ci disse incredibilmente: "lei può venire, ma io non so niente" ! Il che la dice lunga sulla disponibilità a un'apertura al sociale e al territorio di certi capi d'istituto.
Un altro preside, testimone dell'entusiasmo dei ragazzi per il suono di un tamburo e dei trictrac che accompagnavano il trasferimento delle maschere dalla scuola al Centro Sociale, lui che aveva chiesto l'intervento delle forze dell'ordine per difendere la scuola, ci disse che comunque restava del suo parere perché l'entusiasmo dei ragazzi non bastava a proteggere la scuola, ed era invece necessaria la forza pubblica!

Grazie ai nostri carnevali si è potuto introdurre nelle scuole un dibattito-informazione, legato all'invenzione e alla costruzione di maschere e strutture sui temi proposti, di argomenti non scontati di attualità: la corsa agli armamenti, la difesa dell'ambiente, una critica alla dissennata spesa per i mondiali di calcio, la critica alle celebrazioni colombiane, la constatazione dello sfruttamento del Sud del mondo da parte del Nord, la critica alle celebrazioni ossequiose dei Sette Grandi, al successo elettorale del "pollo delle libertà", alle strumentalizzazioni del voto, la critica al neoliberismo, nuovo nome del capitalismo, in solidarietà con la lotta del Chiapas, ma in realtà di tutti gli oppressi del mondo.
Temi che non avrebbero forse avuto alcuna cittadinanza nella scuola senza il nostro intervento.
Temi che hanno coinvolto ed entusiasmato i ragazzi che ancora canticchiano, quando ci incontrano, le filastrocche inventate per l'occasione, ma che invece hanno preoccupato i professori: "ma questa è politica" ! E come si fa a insegnare la storia se non "si fa politica"?

È così che il discorso contro le celebrazioni del vertice G7 a Napoli, nella testa di alcuni professori è diventato un meno pericoloso e gratuito discorso sul numero sette: il sette di fiori, il sette di cuori, i sette sigilli e quanto altro!!!

C'è una terribile e persistente capacità della scuola di svilire e annacquare i temi che si affrontano facendoli diventare asettiche e insulse esercitazioni e luoghi comuni indolori. Ancora più assurda è l'assoluta mancanza di memoria nelle scuole, per cui quello che si è realizzato un anno non diventa patrimonio comune, ma si perde nel dimenticatoio. È anche questo che ci ha spinti a stampare questo libro: perché la memoria resti e sia documentata e sia di stimolo a continuare nella stessa direzione e a produrre di più e meglio: la scuola come produttrice di cultura.
Perciò riproponiamo i fumetti, gli autoadesivi, i manifesti, gli elementari consigli sulla realizzazione di maschere e strutture e soprattutto le immagini affinché quello che abbiamo fatto non vada perso, ma anzi serva ad altri.

Allargando il discorso a tutte le potenzialità creative del lavoro con i ragazzi, non avremmo mai pensato che perfino la realizzazione di una pittura murale sulle pareti anonime di una scuola fosse motivo di discussioni e preoccupazioni delle autorità. Così è successo a Quarto, dove, per regalare un'opera d'arte al Comune e alla scuola si è dovuto andare a parlare più volte con il sindaco e con il direttore per elemosinare un "permesso" e, nonostante questo, si è dovuto firmare una "convenzione" per garantire che non si sarebbe messa in pericolo "la salute" dei frequentatori della scuola. Così è successo a S. Agata de' Goti, dove la proposta di dipingere venticinque metri quadrati di muro esterno di una scuola media, a conclusione di murales realizzati all'interno su duecento metri quadri, rischiava di provocare una crisi "politica" e quindi non se n'è fatto niente.
Così succede che le amministrazioni e la stampa "di sinistra" ritengano "obsoleti" i murales (sono più di moda, adesso, i "graffiti" di matrice anglosassone) e ignorino la nostra opera di coscientizzazione dei ragazzi attraverso la pratica delle arti.

Questo nostro testo, stampato con fatica e con difficoltà economiche, vuol essere anche un grido di protesta contro chi, volendo presuntuosamente difendere la "professionalità" degli insegnanti ritiene ancora che la scuola debba essere ermeticamente chiusa all'esterno e che fare scuola significhi escludere dai curricoli la vita vissuta dei ragazzi e non si rende conto che così vanifica l'efficacia della scuola e costringe i ragazzi all'ignoranza.

Ma qualche speranza c'è: i professori che si sono trasferiti hanno portato in altre scuole, in altri quartieri queste idee sul carnevale.
È quello che cerchiamo di fare anche noi per combattere l'emarginazione del nostro quartiere e reintegrarlo alla città: nel 1991 si fece un corteo, a piedi, da Scampìa al centro di Napoli, a Piazza Bellini (circa otto chilometri) per dare evidenza alla opposizione al massacro degli Iracheni; nel '94 con "Il Cerchio dei Popoli" (coordinamento antivertice) e la collaborazione della Comunità Artigiana di Marano che ci mise a disposizione un camion (il Comune di Napoli non rispose alla nostra richiesta) i nostri mascheroni viaggiarono in carrozza: ci trasferimmo suonando e cantando, da Scampìa al Museo e poi di lì a piedi con i bengala per via Roma fino ai Quartieri Spagnoli e alla Galleria Umberto. Per l'occasione il cielo ci benedisse con una nevicata !

Più cortei, invece di uno solo, investire altri punti della città della festa contestativa: una sorta di gemellaggio che nel '97 ha collegato Scampìa con i Quartieri Spagnoli e con Bagnoli, i ragazzi di Scampìa con i ragazzi degli altri quartieri.
Così si ricuciono le fratture fra i vari quartieri, le varie periferie ed emarginazioni e la protesta, anche se effimera e carnevalesca avrà più corpo e si allargherà di anno in anno: la storia continua e viaggia nella coscienza dei ragazzi.