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Il quadrato nero

A pagina venticinque del libro di geometria c'era, disegnato a stampa, un quadrato nero ABCD. Era nato da una famiglia di rette, nella bottega oscura di un tipografo e aveva infelicitato decine di alunni con la sua diagonale.
Un giorno chi sa come, scivolò fuori dal libro e se ne andò in giro ad esplorare la città. Trascorse una bella mattinata.
Diventò il buco di un tombino, poi il riquadro di una finestra al quindicesimo piano di un palazzo, poi la copertina di un quaderno vecchio, in mano ad un ragazzo che se ne andava svogliatamente a scuola. Si accompagnò con lui per un pezzo, fin dentro l'aula, dove diventò una lavagna e quando un raggio di sole lo colpì, volò di nuovo fuori della finestra. Si fermò in cima ad una ciminiera quadrata; sputacchiò per un poco fumo grigio rossastro. Col fumo volò su un foglio di carta annerendolo tutto. Il vento lo portò lontano, ai confini della città, e divenne di nuovo il riquadro di una  finestra, questa volta, però, a piano terra, nella baracca del povero Policarpo. Di là non riuscì ad allontanarsi. Era scesa la notte e Policarpo non aveva niente per illuminare la sua baracca. C'era solo un moccolo di candela in un angolo, e la sua luce non riusciva a raggiungere il quadrato nero. Guardando all'interno, invece, lo si vedeva tutto sforacchiato dalle stelle: erano quelle, forse che lo tenevano inchiodato là. Il vecchio Policarpo, consumatosi il moccolo di candela, rimase per un pezzo a guardare beato il quadrato nero della finestra e le stelle, lontano. Finché si addormentò. Era un sonno più pesante del solito e perciò il quadrato nero si sentì obbligato a vegliarlo fino all'alba. Tanto nessuno si sarebbe accorto della sua assenza fino al giorno dopo, quando il libro sarebbe uscito.
E poi, adesso che aveva conosciuto la ricchezza dei grattacieli e la  miseria dell’uomo, aveva fatto la sua scelta e non voleva più tornare a rinchiudersi in un libro di arida geometria.


Scuola 128, 24 febbraio 1969.