Tanti murales, tante storie diverse: tentativo di un bilancio
Sono ormai più di dieci anni che dipingiamo muri, muri rugosi e sgretolati, dove il disegno insegue le pietre, muri intonacati e lisci, molto per bene, pannelli prefabbricati, lamiere arrugginite, cemento armato, pannelli di legno allestiti per l'occasione, intonaci rugosi su cui il colore crea effetti come di pastello su carta ruvida o di tappeto tessuto a grana grossa...su sollecitazione di gruppi, associazioni, movimenti politici, movimenti di lotta, comuni, scuole...
Abbiamo dipinto migliaia di metri quadrati di superfici, in occasioni diverse, per motivazioni diverse, che si possono riassumere in un solo anelito: il desiderio, rompendo il grigiore che ci circonda, di condensare in immagini l'urgenza del cambiamento, la lotta per una società più giusta l'utopia della pace e della liberazione dalle infinite schiavitù dell'oggi.
I segni sono restati sui muri, più o meno a lungo, più o meno slavati dalle intemperie e modificati dalle aggiunte vandaliche degli scrittori spray e degli attacchini di manifesti elettorali e non.
Che valore ha questa enorme mole di lavoro? Ne è valsa la pena? È servito a qualcosa?
Se ci guardiamo intorno, nel grigiore e nella piattezza dell'attuale società, talvolta sorgono spontanei dei dubbi.
Forse la nostra è l'epoca del dubbio: il cosiddetto "crollo delle ideologie" ha lasciato dietro di sé un grande vuoto che non può certo essere nascosto dal sempre più rampante consumismo. Molti compagni, impegnati per anni in lotte e attività politiche, si dedicano ora alla gestione di bar, all'organizzazione di feste e concerti, alle proposte per il "tempo libero", dove si cerca di sostituire il vivere bene noi ora, il darci bel tempo, al lottare per vivere tutti meglio domani.
Ci sono dubbi produttivi, che osano mettere in discussione certezze fallaci, che seminano utilmente l'inquietudine, ma per costruire (ricordate l'“elogio del dubbio” di B. Brecht?) e dubbi che sono solo alibi per non fare, la maschera della delusione e dell'annientamento, l'azzeramento di ogni volontà il nulla che avanza. Dal dubbio produttivo nascono nuove certezze, o almeno ipotesi, nuove spinte al fare, ipotesi da verificare nei fatti, non uno stanco andare a rimorchio delle mode.
Sempre più urgente appare allora ricostruire dei valori, per cui valga la pena vivere e lavorare, restituire all'uomo, agli affetti, alle idee, alle culture la loro importanza per ricostruire una società funzionante a misura di uomo Invece sempre più spesso si assiste impotenti alla distruzione dell'uomo, alla sua scomparsa: i prodotti industriali e computerizzati non recano più l'impronta della mano dell'uomo, plasmatrice della materia e questo lungi dall'essere ritenuto un difetto è magnificato e proposto come un valore: è "fatto con il computer!"
La ricchezza di valori umani, fatti materia carica di tradizioni e di evocazioni è appiattita nel luogo comune degli oggetti, pure i più caratteristici di ogni cultura, fabbricati tutti a Taiwan o ad Hong Kong e venduti per ogni dove, in tutto il mondo. Per mangiare alla cinese non è più necessario andare in Estremo Oriente: basta girare l’angolo e si può scegliere se essere cinesi o turchi o cingalesi o
sudamericani. Questo, lungi dal costituire un fecondo scambio di culture diventa un appiattimento da villaggio globale, dove tutto è scontato, non c’è più niente da scoprire, non c'è più mente di nuovo da dire. Succede così che ci si aggrappi disperatamente alla propria identità etnica o nazionale o di gruppo, e si arriva ad ammazzare i diversi per affermare la propria identità e si torna a fare la guerra, la più inumana delle invenzioni dell'uomo.
Si spara e si ammazza vigliaccamente il "nemico", cioè colui che si trova a passare di là o fa la fila per il pane, perseguendo un dissennato progetto di "pulizia etnica": eliminare il diverso, anche se fino al giorno prima era solo il vicino e ci si viveva insieme senza problemi!
C'è una minaccia di dominio globale nel mondo, affidato alle armi e allo strapotere del denaro e nessun governo che si opponga: la stessa ONU ormai serve soltanto a sancire il "diritto" del più forte.
In questo apocalittico scenario, che è il nostro quotidiano, mettersi a dipingere un muro può forse apparire solo un pietoso caso di follia.
Ma anche la follia a questo punto va rivalutata: se il dissenso è ritenuto follia, bisogna esserne orgogliosi! Anche l'amore non è forse una follia?
E poi, quanto alla follia del dedicarsi alla ricerca del bello in mezzo ai disastri e cataclismi quotidiani, chi ha visitato musei e mostre di civiltà al limite della preistoria non può non essere rimasto stupito dalla bellezza e dalla finezza di esecuzione di gioielli, anelli, fìbbie, oggetti "inutili" fabbricati dagli uomini antichi. Se solo si pensa a quanta fatica doveva costare a quegli uomini realizzare simili gioielli con gli strumenti primitivi del loro tempo, non può non indurre a riflettere l'importanza che per loro aveva la produzione di oggetti "belli". Del resto ne fanno fede le splendide pitture rupestri di Altamira e di tanti altri luoghi. Allora non c'erano Taiwan e Hong Kong, e nemmeno i computer!
È che la produzione del bello, lungi dall'essere un di più da realizzare nel tempo libero, è una esigenza basilare che dà più senso alla vita e allora vale sempre la pena di impegnarvisi.
Scopo del nostro fare murales non è però solo "abbellire i muri", c'è chi lo fa solo per questo, ma noi intendiamo usare i murales per comunicare, come dicevamo prima, un messaggio.
Certo un pennello non può cambiare il mondo, ma seminare l'inquietudine, sollecitare la gente a interrogarsi, provocare, si può anche solo con un pennello e dei colori: rivestire di colori e immagini suggestive le idee per cui si lotta, questo può un pennello.
La gioia sprizzante dagli occhi dei bambini con i quali abbiamo dipinto, la soddisfazione, ancorché fuggevole, del lavoro compiuto insieme, dopo parecchia fatica, sono stati in questi anni la nostra ricompensa più gradita.
Certo, il discorso avviato sul muro andrebbe continuato nella vita di ogni giorno, ma non sempre succede e talvolta quelli stessi che ci avevano invitati a fare dei murales in qualche manifestazione non parevano rendersi conto del valore della cosa e nel bilancio finale della manifestazione si dimenticavano di citare la realizzazione di murales. Oppure apparivano spaventati dalla loro stessa audacia e timorosi di essere "compromessi" dalle immagini che poi sarebbero apparse sui muri e volevano garanzie...La paura della "politica", ignorando che politico è il fatto di dipingere il muro, appropriarsi simbolicamente degli spazi abbandonati per renderli significativi, cominciare, dal piccolo, a modificare l'ambiente in cui si vive, in attesa di poter intervenire in maniera ben più significativa.
Talvolta, dopo la realizzazione, i nostri murales sono stati cancellati intenzionalmente, per motivi di "decoro" o di opportunità politica: è scomparso così un mural fatto ad Eboli con la consulta handicappati, ma anche uno fatto a Trento per solidarietà con i palestinesi. È un segno che, anche se fatto con pochi mezzi e da un piccolo gruppo, il dipingere un muro ha una carica che impensierisce chi detiene il potere. Ciò che si mette in cornice e viene celebrato come prodotto artistico è ciò che non disturba i manovratori, se però il messaggio è chiaro e non ambiguo, si può correre il rischio che, al di là dell'espressione di un voto ogni quattro o cinque anni, la gente possa fare politica nel quotidiano. È la politica che riempie la vita dell'uomo, diceva Lorenzo Milani. Politica è ricerca e attuazione di un sistema migliore per vivere insieme, la creatività applicata al vivere sociale, "l'immaginazione al potere" si diceva nel '68, e la pittura fatta insieme è un'occasione offerta alla creatività, che riguarda l'immagine di questa società futura, tutta da inventare.
Sulla creatività bisogna intendersi. Non vogliamo affermare qui che tutti siano artisti, perché sarebbe un imbroglio. Ma la collaborazione fra chi ha la capacità di inventare e chi ne è affascinato e si coinvolge e dà una mano, fa sentire tutti più liberi e, almeno per poco, più felici. "Non perché tutti siano artisti, ma perché tutti siano meno schiavi", come diceva Gianni Rodari.
C'è nei bambini, più spesso che negli adulti, la capacità di inventare, ma, siccome, molto spesso, le menti dei bambini non sono più vergini, bisogna fare un po' di sforzo per far riemergere questa capacità, se no ne uscirà solo ciò che ci è stato già messo dentro: luoghi comuni e brutte copie di ben noti cartoni animati. Disegnare più di un sole per dire che fa caldo, moltiplicare le zampe per dare il senso della corsa, modificare i rapporti di grandezza fra le parti dei corpi, assemblare insieme frammenti di corpi diversi, sono tutte figurazioni di metafore abbastanza immediate, in una intelligenza giovane, se le si dà la spinta giusta, e possono diventare stimolo di altre immagini, ciò che restituisce un senso alla figurazione, non schiava del realismo, ma appunto, invenzione realizzata in completa libertà.
Libertà dai condizionamenti mentali e dai luoghi comuni.
Libertà dai condizionamenti fisici: ci sono i piccoli problemi pratici del dipingere sui muri. Usare i pennelli come pennelli da barba per far penetrare la pittura nei fitti buchi di muri sgretolati affinché da lontano sia percepibile una linea intera e non tutta smangiata, raggiungere altezze maggiori di quella di un braccio alzato, senza avere gli strumenti adatti, utilizzando scale e scaletti traballanti, ponteggi improbabili: la pittura acrobatica.
Libertà dalla schiavitù del denaro.
Altro problema, il denaro. In genere fra noi non ce n'è e allora bisogna fare acrobazie per recuperare almeno il costo della pittura e pennelli.
Preventiviamo in genere un compenso di diecimila lire per metro quadro, per avere un termine di riferimento, ma non sempre lo si raggiunge; eppure, in tutti questi anni, siamo sopravvissuti con i solo proventi di murales e laboratori realizzati con generosa economia. Nessuna istituzione ci ha mai dato qualche spicciolo, anzi, a più riprese hanno tentato di metterci a tacere sottraendoci la disponibilità della nostra sede, finora senza riuscirci. Ma se la mancanza di denaro è il prezzo della libertà, in un mondo in cui pare che tutto si venda e si valuti in base al denaro, val bene la pena di essere pezzenti pur di restare uomini liberi.
Le immagini sui muri, realizzate con pochi mezzi, in economia, tendono a sbiadirsi nel tempo. La capacità di stupirsi per la novità, e lo stimolo a guardare le cose con un occhio diverso che i murales provocano tende allora ad appannarsi e a spegnersi, quando anche i murales diventano un elemento scontato e, come a tutto, ci si fa l'abitudine e allora il soffocante grigiore della quotidianità tende a prendere il sopravvento.
Orozco diceva che la pittura murale è la forma più alta, pura e nobile di pittura perché non può divenire proprietà di nessuno né si deve pagare il biglietto per vederla, ma invece appartiene a tutti.
Con questa coscienza realizziamo i nostri murales, per regalare a tutti la gioia dell'arte, affinché il fardello della vita sia per tutti meno pesante da portare.
Ci divertiamo a farli, perché lavorare insieme, liberamente, inventando, è bello e piacevole e quando, invece delle solite domande oziose, "ma perché lo fate", "chi vi paga", "avete il permesso", "fate anche quadri" (perché il quadro sarebbe "pittura", la pittura murale no!) c'è qualcuno che entra in sintonia col nostro discorso e si entusiasma anche lui e collabora o si complimenta, questo ci dà conferma della giustezza dell'intento.
In tanti anni, una quantità di situazioni diverse ci si sono presentate: gli aneddoti. Abbiamo sperimentato il valore magico della pittura: a S Arpino, dipinto il desiderio di una villa comunale che nel paese non c'era il comune l'ha realizzata sul posto. Alla 167 una barchetta di carta, dipinta sul muro in corrispondenza del luogo dove si appantanava l'acqua ad ogni pioggia è stata messa a secco dalla riparazione degli scarichi per l'acqua piovana. Si è dovuto spalare l'immondizia sotto muri abbandonati per poter raggiungere le pareti, dipinte, e poi nascoste di nuovo dietro i contenitori dell'immondizia.
Tuttavia le immagini dipinte, anche se un po' sbiadite, anche se seminascoste, conservano una loro forza di interpellanza, l'indicazione della possibilità di una opzione diversa, una sorta di pensiero nascosto, in attesa di essere riscoperto e riportato alla luce da un osservatore meno distratto con cui ricominciare il dialogo e rilanciare l'interpellanza. Testimonianza che là c'è stato o c'è ancora un barlume di coscienza, una volontà di vita che vale la pena recuperare e sviluppare. Un sedimento, un seme nascosto nella coscienza, che sembra addormentata, da dove però un giorno germoglierà per produrre e mettere in pratica l'utopia dipinta.
C'è una memoria più durevole dei muri abbandonati e dei colori che sbiadiscono: è nella coscienza degli uomini.
Noi confidiamo che come i ragazzi, con cui abbiamo dipinto fuggevolmente, ci ricordano dopo anni, le immagini sbiadite si mantengano ben chiare nella loro coscienza, in attesa di divenire realtà.
È con questa speranza che continuiamo a dipingere muri, finché ci sarà qualcuno che ce lo chieda, finché sopravviverà nel mondo qualcosa di umano.