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Questo libro: un caso di pazzia

Perché un libro sui nostri murales?
Per documentare, per ricordare, per sollecitare a discutere, per spingere altri a fare, per spiegare come si fa e ciò che ne può venir fuori...
Il Gridas è vivo da dodici anni, non fa solo murales: tenta, tra mille difficoltà, di fare un lavoro culturale, di coscientizzazione, alla periferia nordoccidentale di Napoli.

Cominciammo a fare murales nel 1981, all'esordio del nostro gruppo, per lanciare un segnale agli abitanti della zona, per farci conoscere, per suggerire un possibile percorso. Da allora i murales si sono moltiplicati, nel tempo, ma anche nello spazio, arrivando parecchio lontano dal luogo di origine, in risposta alle richieste di chi ne era entusiasta, qua e là.

I murales non sono affreschi: realizzati con pittura lavabile su muri spesso in condizioni disastrate, esposti alle intemperie, al vandalismo e al degrado, delle strutture, oltre che dei pigmenti, per alcuni di essi l'unica documentazione sono le fotografie fatte appena conclusa l'esperienza, prima che mani incolte li rovinino o che il muro crolli.
La validità dell'esperienza è nel suo farsi, nell'evasione temporanea dal grigiore della quotidianità per lavorare sull'immaginario, affinché la lotta quotidiana sia incoraggiata a svilupparsi dall'immagine viva di un possibile fine da raggiungere. Ma, per far arrivare il messaggio anche a chi non ha partecipato al laboratorio di pittura, per stabilire un dialogo, per sollecitare un discorso critico con chi è lontano, è utile scrivere, e documentare.
Il libro vuole essere quindi una memoria.

Abbiamo sperimentato che nella nostra società, caratterizzata da un incessante bombardamento di immagini, non è affatto immediata la comprensione dei messaggi veicolati dalle immagini, il che ci ha spinti in più occasioni a diffondere dei testi scritti che dessero ragione di quello che volevamo comunicare attraverso le immagini, che non si era trattato soltanto di "colorare un muro". Una sorta di azione e spiegazione alla maniera degli antichi profeti: un gesto simbolico, provocatorio, la spiegazione del gesto che ne dà ragione, facendo diventare significativo e comprensibile il gesto.
Questi testi hanno una validità più durevole dei dipinti sul muro, ormai sbiaditi, quelli più antichi, per cui vogliamo qui riproporli, proporli ad altri, affinché l'esperienza realizzata non vada perduta.

Poiché alcuni murales sono stati realizzati con varie scuole nell'ambito di progetti finanziati con i fondi della legge regionale n. 39 del 1985, "iniziative culturali per combattere la criminalità organizzata", ci sarebbe piaciuto che la regione fosse disponibile a pubblicizzare l'esperienza e si facesse carico della pubblicazione di questo libro. La proponemmo quindi all'assessore regionale alla cultura, quattro anni fa. Dopo un'iniziale e pubblica dichiarazione di entusiasmo, il progetto presentato non è stato neanche preso in considerazione. Ma ormai il desiderio di far uscire il libro era diventato un nostro chiodo fisso. Ci siamo rivolti a vari editori napoletani, ma anche loro non si sono dichiarati disponibili. Un libro illustrato costa e noi abbiamo una sorta di idiosincrasia per il denaro: siamo sempre al verde. Allora abbiamo pensato di lanciare una sottoscrizione, scrivendo ai giornali. Ma anche la stampa seleziona le lettere e le proposte secondo criteri imperscrutabili. La nostra lettera fu pubblicata solo dal "Giornale di Napoli" e poi sul "Manifesto" e riuscimmo così a raccogliere la somma di trecentomila lire, una bella somma per chi l'aveva inviata, ma decisamente troppo scarsa per i nostri fini. Poi, a furia di parlare e sollecitare, proporre e richiedere siamo riusciti finalmente a mettere insieme il denaro necessario e ci buttiamo in questa impresa folle, di autopubblicarci in un libro.

Avevamo pensato di farci presentare da una prefazione di qualcuno ben conosciuto, un luminare della cultura, come si usa, affinché il suo nome fosse una sorta di biglietto di presentazione che desse garanzia della validità del prodotto. Dopo altre delusioni e incomprensioni, ci siamo resi conto che era meglio che della cosa scrivesse chi c’era dentro, anche se non aveva un nome famoso, e che il prodotto si reclamizzasse da sé. Così eccoci qua.

Nel libro di Manuel Scorza, "Storia di Garabombo, l'invisibile" si narra di un campesino peruviano, in lotta per la difesa dei diritti della sua gente, che si convince di essere invisibile, dal momento che le autorità non lo vedono.
Anche i nostri murales, ormai una novantina, chilometri di muri dipinti, sono invisibili a chi non vuol vedere: la pittura invisibile!
Questo libro, che certo non documenta tutto il nostro lavoro, ma solo alcuni esempi più significativi, è un tentativo di uscire dall'invisibilità, passando dai muri alla carta stampata e illustrata. Non è detto che questa sia più visibile. Lo scopo, più che di costringere i ciechi a vedere, impresa alquanto improbabile, è di indirizzarci a chi la pensa come noi per dargli una mano e incoraggiarlo a fare qualcosa di analogo fornendogli degli esempi convincenti.

Certo, con un pennello non si può cambiare il mondo, si può però aiutare quelli che lottano per migliorare il mondo a vedere più vicino il cambiamento, rivestire di immagini le pareti squallide del nostro carcere quotidiano affinché invece che un paesaggio deprimente diventi l'anticamera colorata della società futura.
Raffigurare grottescamente i malvagi per esorcizzarne la pericolosità, celebrare i buoni per averne sempre presente l'esempio, potenziare le capacità dell'occhio di vedere senza inganni il presente e di prefigurarsi il futuro.
Questo può il pennello, come la musica, per aiutare i sogni a diventare realtà.

Ci rivolgiamo sopratutto a quanti non si sono fatti ancora omologare e integrare nella società del grigiore e del conformismo, e conservano la volontà di opporsi e lottano con gli altri per ribellarsi, per costruire un mondo più giusto e migliore: noi tentiamo di lavorare sull'immaginario, per conservare intatto questo tarlo interiore, rafforzarlo, rivestirlo dei colori della vita e spingerlo ad esplodere. Raccontare i colori dei sogni, i sogni collettivi, che sono l'inizio di una nuova realtà è il nostro intento, da cui il titolo: "L'utopia sui muri", la prefigurazione dipinta del cammino da compiere per vivere meglio, in maniera che giorno per giorno si possa confrontare la quotidianità con la meta e ricavarne una costante spinta ad andare avanti.

A chi ha a che vedere col mondo dell'arte vorremmo proporre un caso di arte comprensibile, "povera" perché realizzata con minima spesa, senza alcuna retorica di tanta costosissima "arte povera", esposta in forma piana, stimolatrice di coscienza civile che, riteniamo, possa restituire dignità e significato al lavoro dell'artista nella società contemporanea: restituire la gioia e il coraggio di vivere agli oppressi, riportare l'arte alla dignità del lavoro creativo, artigianalmente realizzato, non la produzione di oggetti quotabili in borsa o alle aste, ma un aiuto agli infanti a crearsi le strutture dell'immaginario.
Prima di noi l'hanno fatto altri, i grandi muralisti del Messico dell'inizio del secolo, e tanti altri in altri paesi del mondo e anche in Italia: confidiamo che questo filone non si esaurisca ma anzi si arricchisca nel tempo.
Marc Chagall ha ben espresso il senso di questa arte nel 1919 nello scritto "La rivoluzione nell'arte": "L'arte proletaria non è un'arte per i proletari né arte di proletari. È l'arte del pittore proletario. In lui i doni della creazione si uniscono alla coscienza proletaria ed egli sa perfettamente che la sua persona e il suo talento appartengono alla collettività".
Ci sono parole ormai consunte dall'uso, altre svuotate di significato col mutare dei tempi. "Proletario" forse è ora una parola fuori moda e forse anche "artista" è parola che appartiene all'archeologia. All'inizio l'artista era solo un artigiano e siccome si sporcava a lavorare era poco considerato, poi il termine si è caricato nel tempo di significati mitici, è stato di volta in volta assimilato al
genio, alla follia, alla bohème, al romanticismo, all'ingenuità.
Se non si tratta di un caso di pazzia, per lo meno ci si va molto vicino, e si tratta comunque di gente da trattare per lo meno con sospetto, perché difficilmente omologabile, a parte quelli che si prostituiscono a vari poteri, divenendone i lacchè.

Un altro modo di pensare assimila l'artista al bambino, per quel faticoso scavare fino alle radici della comunicazione per ridurla all'essenziale e al massimo di pregnanza che curiosamente fa somigliare il prodotto finale alle realizzazioni dei bambini. È quello che esprime spesso, il rozzo a cospetto di un'opera d'arte: "ma è infantile", oppure "questo lo sanno fare anche i bambini". La differenza è che i bambini lo fanno ma non sanno di farlo e invece l'artista, attraverso tutta una vita di ricerca riesce a ricrearsi bambino, a reinventare le parole, i segni, i suoni come se fossero appena nati, restituendo loro il significato.
Tutto questo parlare, forse anche il termine "bambino" appartiene all'archeologia, in un'epoca in cui si comincia a percorrere il mondo a cavallo di un robot piuttosto che su un cavallo a dondolo, e i cavalli, pure, non è più tanto facile incontrarli, ormai.
Ma a noi piace essere assimilati ai bambini, giacché ci fu uno che disse "se non diventerete come bambini" ecc. e non a caso è con loro che ci troviamo più a nostro agio a dipingere i muri.
I grandi si fanno tante domande, che esprimono le loro insicurezze e i loro timori, il bambino ti chiede subito: "pozzo pittà pur'io?" È perciò a loro che vogliamo dedicare questo libro, perché quelli che hanno potuto sperimentare con noi la gioia della creazione non se ne dimentichino e conservino intatta la capacità di stupirsi e di godere del bello, cosa che non ha prezzo e che dà un senso alla vita.
La vita ha un senso se è riassumibile in un atto di amore: anche l'arte è assimilabile ad un atto di amore, un altro caso di follia.

Chi si mette a giocare con i colori mentre attorno il mondo sembra crollare e invece di essere impegnato come fanno le persone "serie" ad accumulare denaro e a lottare per diventare importante è povero e sconosciuto e ciononostante è pure contento, deve essere pazzo.
Se poi pretende di essere nel giusto e di partecipare agli altri questa sua allegria, allora il suo dev' essere proprio un caso disperato!

Questo libro: un caso di pazzia