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Il GRIDAS: chi siamo, dove viviamo

Viviamo alla periferia nordoccidentale di Napoli, dove il quartiere di Secondigliano, fatto di palazzotti vecchi di più o meno un secolo e qualche vicolo che ricorda la Napoli antica, fa spazio all'obbrobrio della 167, un agglomerato di centomila abitanti, costretti a vivere in sovraffollamento, in palazzoni di tredici piani, fra cui le famigerate "vele", che di napoletano non hanno più niente, tranne la lingua parlata e la sporcizia diffusa. È spesso definita una zona "a rischio" dove i non indigeni hanno paura ad avventurarsi: il bronx, il paradiso del traffico di droga, una delle zone dove si raccoglie per le strade il maggior numero di siringhe usate, il luogo dove si spara quasi come nel Far West: regolamenti di conti, della camorra, che si mischiano con i botti dei fuochi artificiali per qualche festa di santo, dove si incontrano spesso i "fuienti" della Madonna dell'Arco, in fanatiche processioni al suono della banda.
Dove vige una pretenziosa distinzione fra due categorie sociali: gli abitanti delle case popolari, che scaricano la propria rabbia inane sulle strutture stesse delle case, svellendo le cassette della posta, accanendosi contro gli ascensori che, maleodoranti e malridotti, hanno quasi sempre i bottoni orbi o bruciati e porte dagli incredibili colori. Dove l'immondizia si accumula negli spazi vuoti, nonostante ripetute e saltuarie iniziative di pochi volenterosi, di attrezzare giardinetti alla base dei grattacieli. Distrutti poi nel tempo dalla sopraffacente incuria. E dall'altra parte gli abitanti delle case in cooperativa, le persone perbene, intente a recintare sempre più impenetrabilmente le abitazioni nell'inane speranza di sottrarsi a furti eventuali o già sperimentati. Cancelli, cancellate, recinzioni, serrature.

Di fronte, dall'altro lato della via Appia, il nuovo carcere, anch'esso opportunamente recintato: la fabbrica della delinquenza da un lato, la repressione dall'altro. Due istituzioni.

Il volto dell'amministrazione, del governo, dello stato è testimoniato da velleitari interventi senza né capo né coda, realizzati a più riprese, nel tempo, che non sembrano corrispondere ad alcun progetto o sono la realizzazione di più progetti non coordinati che formano un groviglio inestricabile. Strade larghissime, simili a piste di aeroporto, che si perdono nel nulla, dopo incredibili serpenteggiamenti intorno a improbabili rilievi spartitraffico. Costruzioni avveniristiche realizzate ed abbandonate, una sorta di museo dei nuovi orrori metropolitani: qua una piramide, ultimata da alcuni anni, che corrisponde ad un mercatino rionale che chi sa quando e se si aprirà (sono già passate inutilmente parecchie scadenze elettorali), là un edificio con passaggi coperti da eleganti gallerie in plexiglass, con segni di bruciature qua e là. Sette asili nido costruiti e abbandonati allo sfascio, dove i ragazzini si esercitano a strappare dai muri cavi, tubi e serramenti, allevano cani e vanno a caccia di drogati. Perché questo succeda non si sa; le costruzioni si fanno, ma la gestione non si ha il coraggio di assegnarla, così il patrimonio pubblico va in malora: uno dei tanti sprechi. In compenso sono in cantiere altri due asili nido, per continuare nella stessa politica dissennata.

Per attraversare le piste da aeroporto salvaguardando l'incolumità dei pedoni, furono costruiti faraonici sottopassaggi in modo che il pedone aggiungesse qualche chilometro al suo percorso, avendo salva la vita; ma stranamente nessuno se ne serviva, alcuni li usavano per
depositarvi gli scarti di refurtiva, per drogarsi o altro, così l'amministrazione pubblica decise di cancellarli, lasciando i manufatti al loro posto, ma seppellendoli sotto calcinacci e immondizie una sorta di occultamento del misfatto. Così manufatti in cemento armato e corpose ringhiere e corrimano in ferro sono stati sotterrati sotto cumuli di immondizia e calcinacci e c'è chi dice che qualcuno ne abbia tratto vantaggio economico riscuotendo tangenti da chi scaricava rifiuti.

C’è un edificio plurifunzionale, costruito e ultimato, con palestra, piscina, spazio per il teatro, una biblioteca, ecc., inesorabilmente chiuso ormai da molti anni, perché "chi ha i soldi per gestirlo?", come ebbe a dire il sindaco Lezzi portato là in visita. Da poco se n'è aperta una parte per ospitare una scuola elementare, ma il resto è inutilizzato. C’è una sorta di centro sociale, lottizzato fra varie sigle, improbabili coperture di altrettanti partiti, molto attivi in periodi elettorale durante il resto dell'anno luogo di esercizio del gioco a carte. C'è una chiesa, non molto riconoscibile come tale, a prima vista, che il parroco si rifiuta di usare per la sua scarsa funzionalità, anch'essa debitamente, e accuratamente recintata, tanto da rendere difficile l'individuazione
dell'ingresso.

Sparse sul territorio, le scuole. Alcuni edifici costruiti come tali, altri definiti all'inizio "aule mobili" in cemento armato prefabbricato (mobili in che senso?) che sono state radicate sul terreno da sempre più fitte cancellate e recinzioni, conseguenza di ripetute spedizioni devastanti.
Tre scuole elementari e quattro scuole medie con varie succursali, ché il numero degli alunni aumentava nel tempo, scuole con 1000, 1500 alunni, ingovernabili, tutte intitolate, le medie, al poeta Virgilio, con un numero ordinale, Virgilio I, II, III, IV. Ultimamente la Virgilio II ha ottenuto un nome originale si chiama ora "Carlo Levi" ma per riconoscerla si aggiunge "ex Virgilio II"! C’è una succursale dell'Ipsia di Miano e una succursale di un istituto tecnico. Altre scuole sono in costruzione.

A completamento del panorama, la costruzione di un enorme parco, "botanico", di 800.000 metri quadri, in allestimento da una decina di anni, al centro del rione, con colline fatte con terreno di riporto e perfino laghetti, dove è già annegato un bambino. Il parco era in costruzione da tempo quando qui è venuto il papa, nel '90. Allora se ne spianò un pezzo, per allestire il palco papale, facendo finta che fosse già ultimato, poi i lavori sono proseguiti, poi è stato smantellato il cantiere, ma il fantomatico parco è ancora recintato da una rete. All'interno si aggirano operai che spiantano erbacce e annaffiano essenze pregiate, ricominciando da capo quando hanno ultimato il giro.
La gente si arrangia. Chi abita ai piani più bassi imita gli abitanti delle cooperative mettendosi in carcere con grate e cancellate per difendere la sua casa. C'è un incessante lavorio di muratori per rendere più funzionali le case, costruendo verande, abbattendo muri e costruendone altri e sostituendo gli infissi. Le strade sono disseminate dei resti di questi lavori: infissi scartati, specchi e altre suppellettili ormai smesse.

Vista l'inesistenza dei mercatini e l'insufficienza dei negozi, chi può si costruisce una baracca più o meno abusiva, dove esercitare un mestiere, carrozziere, meccanico d'auto, riparatore di biciclette, o dedicarsi al commercio: salumiere, rivenditore di bibite e perfino bar "chalet", tutti in baracche di lamiera di ferro.

Sui cumuli di immondizie e rifiuti cresce una rigogliosa vegetazione, di diverso sviluppo a seconda della stagione, che stende un velo di verde gradevole, ma anche utile a dissimulare la realtà. Si può trovare fra le erbacce la ruchetta e, ad anni alterni, perfino lo stramonio.
Ad ogni angolo, sotto un ombrellone d'estate o in una improbabile baracca di lamiere d'inverno ci sono i rivenditori di sigarette di contrabbando o altre minime imprese commerciali, a seconda della stagione: a Natale venditori di giocattoli e addobbi per gli alberi, d'estate galleggianti per il mare, ceste di vimini, soprammobili, meloni, frutta e verdura, cozze, musso e trippa.

Così il panorama è sempre molto colorato e vivace, a nascondere le difficoltà della vita.

A cercare un rimedio ai guai sono in parecchi. C'è una missione dei padri gesuiti, che da anni si occupa dell'animazione estiva, cerca il recupero dei ragazzi abbandonati a sé stessi, produce un giornale di quartiere, "Fuga di notizie", che cerca di stabilire un collegamento fra i dispersi. C'è la Frempa, una cooperativa di servizi sociali. C'è il coro polifonico Esperanza, che raccoglie alcuni giovani delle case in cooperativa. C'è una parrocchia, in un locale prefabbricato, anch'esso in origine transitorio, ma ormai ben radicato. C'è l'Arci Scampìa, scuola di calcio con belle speranze, che pure raccoglie un buon numero di ragazzi. Ci sono i giovani della comunità di S. Egidio, impegnati nel recupero dei ragazzini in difficoltà nella scuola. C'è la comunità cristiana di base del Cassano.

Le parrocchie, vista la scarsa affluenza nelle chiese, hanno intrapreso l'impegno di portare le messe a domicilio, così, fra le varie baracche di cui si diceva ci sono anche le baracche dei preti, dove la domenica si celebra la messa, opportunamente pubblicizzata all'esterno dagli altoparlanti.
All'ordine pubblico provvede una caserma dei Carabinieri, fino alle 19.00, dopo anche loro si chiudono dentro. Da qualche tempo è stata installata nel quartiere una caserma di Vigili del Fuoco, così non devono più fermarsi, a sirene spiegate, per chiedere informazioni ai passanti sugli indirizzi. Gli indirizzi, in effetti, somigliano a strane formule: ai nomi delle strade si aggiungono varie lettere e sigle a designare gli isolati e i lotti U, P, H, W, ecc.

Poi c'è la circoscrizione, ospitata attualmente in locali costruiti forse per una scuola, in attesa della costruzione di una sede più appropriata, un'ennesima fabbrica ora in corso d'opera.
Nella circoscrizione ci sono delle assistenti sociali, messe lì a rodersi il fegato, perché non hanno alcun supporto di strutture logistiche dal comune e i casi a loro sottoposti restano spesso insolubili.
Nei locali della circoscrizione ci sono gli uffici comunali, anagrafe, stato civile, ecc. e i famosi terminali, strumenti elettronici che tendono a non funzionare quando si ha urgente bisogno di un documento, sconvolgendo i cittadini in fila davanti agli sportelli. Poi ci sono gli uffici politici e la sala del consiglio dove un muretto chiude fuori dal recinto il pubblico. Dentro il recinto si gioca alla politica: all'insaputa dei cittadini si decidono i loro destini, a cura di personaggi che hanno intrapreso la carriera politica, come primo passo per la scalata ad incarichi di maggior peso e che, essendo risultati eletti, forti dei voti presi, non importa come, esercitano il diritto di parlarsi con il lei in un improbabile italiano, mentre fuori dell'aula si parlano col tu.
Il nostro sarcasmo è giustificato dalla constatazione che, non essendo ancora partito alcun serio processo di decentramento amministrativo, le decisioni faticosamente prese dalle circoscrizioni restano lettera morta perché sono subordinate poi all'approvazione della giunta comunale, e alla disponibilità di fondi eventuali, se comportano spese. La circoscrizione non dispone neanche di un proprio ufficio tecnico, ma si appoggia all'ufficio tecnico della circoscrizione di Secondigliano, responsabile, con altri, dei disservizi delle strutture pubbliche.
Il fatto è che il quartiere è un caso di assurdità, un aborto fin dalla concezione. L'abbiamo visto nascere e crescere in maniera abnorme: le case costruite in fretta e assegnate prima ancora che fossero ultimate le strade; strade continuamente sconvolte da successivi lavori per la posa di cavi e tubi che lasciavano sul selciato eterne e sovrapposte cicatrici; gli spazi liberi successivamente cancellati da nuove costruzioni che cercavano di dare soddisfazione alla perenne fame di case. Le coabitazioni, le occupazioni, le sanatorie, i comitati di inquilini spesso in lotta fra loro. Inutilmente i nuovi abitanti cercavano di esorcizzare la disumanità dell'ambiente attribuendo nomi fantastici alle costruzioni: un edificio a forma di settore di corona circolare è stato battezzato "a' cianf'e cavallo", (zampa di cavallo), le piramidi prefabbricate "le vele", e così via, in un inane tentativo di umanizzazione.
Per ultimi sono arrivati gli "scantinatisti", povere famiglie costrette dalla penuria di case ad occupare e abitare tane da topi, gli scantinati dei grandi edifici, inventandosi un'abitazione dove non c'è né luce né aria. Così, in mezzo a questo scenario ultramoderno si nascondono situazioni da terzo mondo.
A queste situazioni cercano di porre rimedio o almeno sollievo i vari gruppi di volontariato citati prima. Su qualcuno dei muri abbandonati ci sono tracce di murales realizzati in anni passati dal Gridas, che ha sede un chilometro e mezzo più in là, all'Ina casa, al Monte. Rosa (l'Ina casa è caratterizzato dal fatto che tutte le strade hanno nomi di montagne). Il Gridas, gruppo risveglio dal sonno, è un'associazione culturale viva ormai da dodici anni. È nato nel 1981 per reazione alla ostilità della scuola elementare alla collaborazione esterna, ancorché gratuita, di un genitore che aveva ingenuamente pensato che l'esercizio della pittura e della creatività potessero vivacizzare l'insegnamento nella scuola dell'obbligo, così spesso evasa anche per sua colpa. Si proibì a tutti i genitori, definiti "estranei" l'ingresso non richiesto nella scuola, furono diffidate le insegnanti che avevano gradito la collaborazione, ecc. Fu così che un gruppo di persone reagì a queste assurdità facendosi carico della sorte delle vittime della scuola con l'offrire loro opportunità diverse e più stimolanti di espressione. Si dipinsero con i ragazzi i muri di una pineta del rione, si arrivò ad organizzare il carnevale di quartiere, fondando una sorta di tradizione, che manteniamo in vita, di
utilizzazione delle maschere in funzione di critica sociale.

Le proposte, negli anni, hanno incontrato l'adesione entusiastica dei bambini e di qualche insegnante e di qualche direttore didattico o preside (molto rari).
Così siamo andati avanti in questi anni, realizzando murales e laboratori in parecchie scuole, ma allargando il discorso anche al di fuori della scuola, con iniziative di solidarietà per qualunque movimento che stesse dalla parte degli ultimi, degli esclusi, dei meno favoriti.
Si sono promossi incontri, nella stanza del centro sociale che è la nostra sede: si è inventato un televisore di compensato in cui rotoli di tela dipinta si fanno scorrere con una manovella, per spiegare in giro, illustrando i quadri, com'è che stanno le cose, e dare le informazioni che la tv nega o travisa. I cambi di quadro sono intervallati da rullii di tamburi. Il nostro televisore a mano è arrivato fino a Roma, alle manifestazioni nazionali, più volte. Dipingiamo striscioni per tutti quelli che ce ne fanno richiesta, per aggiungere colori e visibilità alle loro lotte.

Cerchiamo di rompere il cerchio di emarginazione delle periferie, che è anche emarginazione culturale, esibendo le nostre produzioni nel cuore della città. Abbiamo fatto varie mostre per cercare di ottenere nei luoghi deputati della cultura il riconoscimento del valore umano della cultura di base e dare fiducia e restituire dignità ai nostri ragazzi. La realizzazione, a lungo vagheggiata, di questo libro va anch'essa in questa direzione.
Abbiamo suggerito una possibilità di convivialità unendo cene in comune a riunioni di solidarietà, in maniera da arricchire di comunicazione umana le manifestazioni politiche.
Tutte cose divenute segno di contraddizione, ovviamente. Perché se si critica lo spreco di risorse a favore della corsa agli armamenti, per gli yesmen si tratta solo di una minaccia all'ordine costituito e se ci si schiera dalla parte del Nicaragua libero, dell'ANC contro l'apartheid del fronte guerrigliero del Salvador, dell'OLP e del diritto alla vita del popolo dell’Iraq sterminato dal persistere criminale dell'embargo, questo è visto come una minaccia di sovversione o una bizzarra originalità.

Le nostre iniziative sono pubblicizzate con autoadesivi e manifesti realizzati in linoleografìa, così la memoria ne resta a lungo sui muri, facendo capolino fra gli innumerevoli messaggi pubblicitari e fra le cartacce della propaganda elettorale, differenziandosene per una grafica diversa.
Ci si è collegati con chi porta avanti la stessa lotta, i gruppi politici non omologati, i cristiani impegnati nella realizzazione del vangelo al di fuori delle istituzioni, gli insegnanti motivati, che sono quelli che danno un senso alla scuola, in breve tutti quelli capaci ancora di stupirsi e di indignarsi.
Non è che abbiamo ricevuto entusiastici consensi, ma abbiamo comunque segnato una presenza viva, diversa, significativa nel rione Ina casa, al limite della 167.
Abbiamo ben chiaro di rappresentare in qualche modo la coscienza del nostro quartiere. Continuiamo a lottare nella speranza che questa coscienza, dall'inconscio possa emergere alla visibilità.

La nostra presenza voleva farsi più incisiva con la proposta di realizzazione di una "casa della cultura" nel vecchio centro sociale di cui siamo ospiti, in una sala. Il progetto mirava a fare del centro sociale abbandonato un centro propulsivo di cultura, cioè di valori umani nel bel mezzo della nostra area degradata e minacciata o meglio egemonizzata sempre più dalla malavita e dal menefreghismo. Una sorta di archivio vivente di tutto ciò che di positivo si fa nel quartiere, che allarghi il discorso a sempre più persone. Un laboratorio-mostra permanente di tecniche espressive, dalla linoleografìa al patchwork, alla cartapesta, al fumetto, al muralismo. Un centro di documentazione che raccolga le esperienze di vita degli anziani e le testimonianze della vita del quartiere nel tempo. Un osservatorio sulle scuole del territorio, in collaborazione col presidio per la difesa dei minori e della scuola dell'obbligo, cui aderiamo, che operi perché le scuole siano centri propulsivi di cultura e non monumenti al nulla o istituzioni impermeabili alla vita.

Un osservatorio sulla salute e l'ambiente. Un centro di coordinamento di tutto ciò che si muove nel quartiere, al servizio di quelli che vogliono cambiare e migliorare le cose. Un laboratorio per esperienze teatrali e musicali a disposizione dei giovani che non hanno altri spazi dove stare insieme ed esprimersi.

Per il momento il progetto non pare realizzabile, per la completa indifferenza delle istituzioni ma anche per il numero risicato di persone che fanno parte del nostro gruppo. In alternativa la circoscrizione sbandierava un fumoso progetto multimilionario di ristrutturazione del centro sociale, trecento milioni per fare una biblioteca comunale (una in più, da mantenere chiusa) la casa per un custode, e un misterioso "auditorium". La manovra era in realtà finalizzata alla nostra soppressione, sottraendoci la sede. Avendo chiamato alla mobilitazione contro questa manovra e avendo definito "camorristica e clientelare" la gestione della circoscrizione, ne abbiamo solo ricavato una denuncia per diffamazione ad opera di quattro consiglieri circoscrizionali, tutti e quattro dello stesso partito, che si sono sentiti offesi!

La nostra speranza è che riusciamo a "risvegliare dal sonno" perfino le istituzioni, il che appare tanto più difficile se le istituzioni piuttosto che dormire sono ben sveglie, ma per operare nella direzione esattamente opposta al giusto. Ma insistiamo e andiamo avanti: i tanti semi sparsi un giorno germoglieranno e dalla terra che sembrava sterile e deserta un giorno sorgerà un giardino rigoglioso e fantastico, dove la pianta dell'uomo nuovo, l'uomo sociale, aperto agli altri invece che chiuso su se stesso, inventore, non alienato, originale, non succube delle mode e dei falsi bisogni imposti dal consumismo pubblicitario, produrrà una società come noi la vogliamo, una società umana.

Si può pensare che sia solo un sogno, ma se troveremo altri per sognarlo insieme potrà cominciare a diventare realtà.

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